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“LA SCELTA” – l’amicizia, il cinema, gli anni con Ermanno Olmi

7 maggio 2021.

Quattro anni fa morì Ermanno Olmi, il 7 maggio 2018. Questo libro di Maurizio Zaccaro, uscito di recente per Vallecchi con l’introduzione di Emanuela Martini, avventura di set, formazione, poesia e “pudore lombardo”, ha la misura centrata del risarcimento che ogni giovane artista, diventato indipendente e maturo, sente per la fortuna di avere incontrato un grande maestro. Non solo. La vicenda artistica di Ermanno Olmi intrecciata alla crescita di un cadetto, un alfiere con lo stendardo della casata d’autore che diventa autonomo scoprendo il mestiere delle armi e poi indispensabile supporter, ci racconta un’esperienza umana e comunitaria di autentico rispecchiamento, appartiene cioè profondamente ai valori di Ermanno. Raccolti e condivisi da Maurizio anche nei suoi film: “La valle di pietra”, “L’articolo 2”, “Il carniere”, “Un uomo perbene”, “Nour”. Da leggere.

Silvio Danese – Critico cinematografico, scrittore

SAL-TO 2022

PRESENTAZIONI ALLA RADIO

GR1 del 28 marzo 2021 ore 19 – di Baba Richerme

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Maurizio Zaccaro
“La scelta”
L’amicizia, il cinema, gli anni con Ermanno Olmi
Vallecchi Editore

Maurizio Zaccaro “La scelta”

di Livio Partiti, 12 marzo 2021

È nel 1978 quando Maurizio Zaccaro inizia a lavorare con Olmi. Da quel momento si instaurerà un rapporto di collaborazione e amicizia che durerà quattro decenni. Questo libro è una traccia molto intima di quegli anni, scritta da un testimone sincero e fedele che pagina dopo pagina disegna il ritratto del proprio “maestro”.

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Premio Di Venanzo a “LA SCELTA” – Teramo 2021

con Enrico Magrelli e Dario Zonta

IL PODCAST DELLA TRASMISSIONE DI LUNEDì 8 FEBBRAIO 2021

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Libri & Editori

Giovedì, 10 giugno 2021

Intervista al regista Maurizio Zaccaro a tre anni dalla morte di Ermanno Olmi, a cui ha dedicato il libro “La scelta”

Di Oriana Maerini per AffariItaliani.it

Certi incontri, è inevitabile, ci segnano in modo indelebile e determinante. Chissà come sarebbe stata la vita del regista Maurizio Zaccaro – autore  di lungometraggi per il grande schermo (tra gli altri, Dove comincia la notte Un uomo perbene sulla vicenda del presentatore Enzo Tortora) e serie Tv (Cuore, I ragazzi della via Pal, Il sindaco pescatore, etc.) – se non avesse incontrato il grande collega Ermanno Olmi. Dalla loro amicizia è nato La scelta, edizioni Vallecchi. L’amicizia, il cinema, gli anni con Ermanno Olmi, nel quale Zaccaro racconta il loro quarantennale legame, professionale ma soprattutto affettivo. “A volte avviene tutto per caso e così è stato anche il mio incontro con Ermanno. All’epoca il cinema inteso come regia pensavo fosse una cosa inarrivabile. Mi interessava molto di più la scenografia per esempio, o la fotografia” ci dice il regista milanese, vincitori di tanti premi prestigiosi, e già autore di un romanzo dal titolo Bleu.

Di solito si dice di lui è stato un grande maestro. Cosa lo ha reso tale dal punto di vista cinematografico?

Più che un regista nel senso classico del termine, Olmi è sempre stato un grande artigiano del cinema e questo l’ha reso unico nel panorama degli autori italiani. Per questo Olmi non ha mai fatto “lo stesso film” ma ogni volta ha voluto raccontare storie diverse, con attori diversi, magari anche non professionisti purché autentici e soprattutto credibili nel ruolo.

Umanamente com’era?

Amava la convivialità. Stare con gli altri, parlare, soprattutto ascoltare quello che avevano da dire, da proporre. Oggi invece si tende sempre più a farsi ascoltare, a gridare, a imporre la propria idea anche se palesemente sbagliata. Uno dei più importati insegnamenti di Olmi è stato proprio questo: “Lasciate parlare prima gli altri, poi fate vostro quello che hanno detto e infine, se avete qualcosa da dire, ditelo.”

Cosa è orgoglioso di aver mutuato dal suo modo di fare cinema?

Pur avendo lavorato molti anni con lui ho sempre cercato di evitare di emularne lo stile. Sarebbe stato terribile essere dal punto di vista stilistico “un piccolo, incompiuto Olmi”. Questo non vale solo per il cinema ma per tutti i mestieri.

Olmi ha dovuto affrontare la prova dura della malattia, è stato d’esempio anche in quello?

La malattia di Ermanno è stata un prova durissima non solo per lui ma anche per tutti quelli che gli erano vicino. Purtroppo per questo motivo , ad appena tre giorni dall’inizio delle riprese di un film “Ragazzo della Bovisa” ci siamo dovuti fermare e il film poi non si è più fatto. Un vero peccato perché sarebbe stato un altro capolavoro. Ora è diventato libro. Ma la letteratura è un’altra cosa.

L’amicizia è il fulcro del suo libro dedicato al grande collega, è un sentimento più forte dell’amore. Si sentirebbe di affermarlo alla luce delle sue esperienze di vita?

La mia amicizia con lui, durata più di quattro decadi, non solo è stata importante dal punto di vista professionale ma anche determinante per come poi si sono sviluppate certe scelte fatte. Stare vino a Olmi non voleva dire solo stare alla bottega di un grande maestro ma soprattutto sviluppare insieme molti, bellissimi progetti. A volte li abbiamo realizzati, altri no ma anche quelli è come se esistessero: splendidi viaggi nell’utopia.

Olmi provò a dissuaderla dall’accettare i lavori di regie televisive, per sventare l’ipotesi che la fagocitassero. Si è pentito di non aver accolto quel consiglio?

Per me non c’è mai stata una marcata differenza fra fare cinema o televisione. Diciamo che questo è un pregiudizio tipicamente italiano anzi, decisamente provinciale se confrontato con quello che succede all’estero, soprattutto in Inghilterra e Stati Uniti. Del resto cosa deve fare un regista se non fare appunto il regista? A questo proposito c’è una lucida dichiarazione di Orson Welles “Io sono un pendolare. Vado dove c’è del lavoro, come un raccoglitore di frutta. Tutto ciò di cui ho bisogno sono un sorriso d’incoraggiamento ed una proposta, ed arrivo subito, col primo aereo.”

I progetti non realizzati insieme contano come quelli realizzati?

A volte i progetti non realizzati portano con sé un valore incommensurabile. Quello di un’idea che vivrà per sempre nella nostra mente. Non averli realizzati non è mai colpa dell’autore ma dei cuori aridi chi non credono nelle potenzialità del progetto. Purtroppo il cinema deve fare i conti con troppa gente, con troppi interessi. Tutte cose che limitano la libertà d’espressione.

A Olmi pensa di aver detto tutto quello che doveva mentre era in vita?

A tre anni dalla sua scomparsa ogni tanto mi viene voglia di fargli una telefonata. Da qualche parte il telefono dovrebbe pur suonare, un po’ come l’inizio di “C’era una volta in America “. Ecco, più o meno così. E dopo tanto squillare m’immagino Ermanno che avvicinandosi all’apparecchio dice: “Chi è che rompe le scatole fin quassù, si può mai stare in pace” E allora sorrido, come abbiamo sempre fatto insieme, perché quello che non è mai mancato è stato appunto il reciproco divertimento, sia sul lavoro che nella vita.

Pensando all’al di là, all’ipotesi che non troverà nessuno, lei come si sente?

C’è quella bellissima scena nel film dei Coen “La ballata di BusterScruggs” dove al pistolero colpito a morte spuntano le alucce e vola in cielo a suonare l’arpa. Ecco, io l’al di là me lo immagino così, come un cartone animato. Olmi invece diceva sempre: “Sono proprio curioso di vedere chi incontrerò una volta passato il confine.” Chissà se ha mai incontrato chi ha sempre desiderato incontrare. In ogni caso spero di sì.

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La scelta. L’amicizia, il cinema, gli anni con Ermanno Olmi di Maurizio Zaccaro

Vallecchi, 2021 – Maurizio Zaccaro racconta i quarant’anni di collaborazione e amicizia con Ermanno Olmi, tramite aneddoti, dialoghi, retroscena, paesaggi, progetti e sogni, compresi quelli mai realizzati e rimasti come sospesi per impedimenti vari.

Annalisa Fuso Pubblicato il 29-03-2021

La scelta. L'amicizia, il cinema, gli anni con Ermanno Olmi

La scelta. L’amicizia, il cinema, gli anni con Ermanno Olmi

A tre anni dalla scomparsa di Ermanno Olmi, grande protagonista del cinema italiano e internazionale, Maurizio Zaccaro ripercorre i quarant’anni trascorsi al suo fianco. La scelta. L’amicizia, il cinema, gli anni con Ermanno Olmi (Vallecchi Firenze, 2021) non è una semplice biografia, ma è la storia di due vite intrecciate, quelle di Olmi e del suo “discepolo” Zaccaro. In questo libro, corredato di foto che li ritraggono sui set, l’autore riporta aneddoti, dialoghi, retroscena, paesaggi, progetti e sogni, compresi quelli mai realizzati e rimasti come sospesi per impedimenti vari.

Il giovane Maurizio Zaccaro iniziò la sua avventura con Olmi nel 1978, quando, come portantino di casse e attrezzature, partì entusiasta col regista e la sua troupe a bordo di una vecchia Opel Blitz blu, che a fatica raggiungeva i cento all’ora, alla ricerca di luoghi e volti per le loro riprese.
Dopo il prologo, l’autore riporta, accanto a una foto di Olmi, anche quella della dedica da lui scritta sulla prima pagina del suo libro Ragazzo della Bovisa:

“Ti ricordi, Maurizio, i nostri sopralluoghi? Tu eri allora un collaboratore, ora sei un alfiere! Bravo! Ermanno, 11 agosto 2004”.

Mentre Olmi lo definiva il suo alfiere, Zaccaro vedeva in lui il maestro, un artigiano del cinema, al quale, come facevano una volta i garzoni delle botteghe, aveva scelto di affiancarsi per imparare il mestiere che tanto lo appassionava. Così, da allievo, diventò col tempo aiuto operatore, collaboratore e, soprattutto, amico di Ermanno Olmi. Moltissime sono le cose che, spiega, ha imparato da lui. Fra tutte,

“La capacità, che difficilmente si può insegnare, di cogliere l’essenziale dalla realtà, essere cioè in grado di assimilare, attraverso l’occhio della macchina da presa, le emozioni che la vita ci offre per poi restituirle allo spettatore nella loro integrità, senza bisogno di alcuna manipolazione, per cui ancora più potenti”.

I capitoli ripercorrono in successione cronologica l’esperienza di Zaccaro con Olmi, e si aprono tutti con citazioni che ne anticipano il contenuto. La narrazione è fluida, allo stesso tempo vivace e commossa. Ogni pagina è densa di quell’entusiasmo che li aveva sempre animati.
L’immagine che emerge di Olmi è quella di un uomo energico che più che ottantenne andava ancora sui set, di un tipo simpatico, sempre con la battuta pronta, di una persona colta, che anche prima dell’avvento di internet sapeva ogni volta dove e cosa studiare per reperire informazioni utili, e che era sempre disposto a mettere il suo sapere a disposizione degli altri.

Come regista, autore e sceneggiatore era sempre stato attento agli umili, al quotidiano, alle realtà territoriali, agli aspetti più semplici della vita. Zaccaro ricorda quando lui e Olmi, per i documentari, i lungometraggi e i film, andavano alla ricerca, magari in mezzo alla nebbia con la macchina da presa in braccio, di immagini di vita autentica, di persone comuni. Racconta poi aneddoti sui set, ad esempio quelli dei film Lunga vita alla signora! o Camminacammina, dove recitavano attori dilettanti, spesso giovanissimi, o comunque persone prese dalla strada che nella vita facevano tutt’altro.

In più occasioni, inoltre, Zaccaro riporta lo spirito comunitario che accomunava chi collaborava o studiava con Olmi. In primis, la troupe con la quale anche lui viaggiava: si trattava infatti non soltanto di un gruppo di individui che lavoravano allo stesso progetto, ma di una vera e propria comunità, di un insieme di persone che erano come una famiglia perché condividevano esperienze, mangiavano e dormivano insieme, si aiutavano a vicenda. Quello stesso spirito comunitario animò anche Ipotesi Cinema, il fortunato progetto di “scuola non scuola” fondata da Ermanno Olmi e Paolo Valmarana nel 1982, dove al posto dell’insegnante “in cattedra” a trasmettere nozioni c’era un laboratorio collettivo, un continuo flusso di idee, un gruppo solidale che imparava facendo.

Il racconto dell’amicizia fra Zaccaro e Olmi passa anche attraverso la malattia di quest’ultimo, colpito a cinquantaquattro anni dalla sindrome di Guillain-Barré, e il progressivo aggravarsi della sua salute, che però non gli impedì di continuare a lavorare e riempire la vita con le sue passioni. Era più che ottantenne, infatti, scrive l’autore, durante le riprese del suo ultimo film Torneranno i prati, ambientato in una lunga notte di paura nel 1917 nelle trincee sull’Altopiano di Asiago, dove i soldati sono in attesa dell’ordine di uscire, cioè di morire. Nonostante l’età e la malattia, Olmi aveva rivissuto con gli attori e la troupe il gelo e la neve che non smetteva di scendere, proprio come un secolo prima. E ancora una volta aveva messo davanti ai riflettori le testimonianze delle persone più umili e autentiche, i soldati con le loro paure.

Olmi morì nel 2018 all’età di ottantasei anni. L’amico Zaccaro, che leggiamo essere andato tante volte a trovarlo durante gli ultimi anni di vita nella casa di Asiago, quel giorno era a Lampedusa sul set del suo Nour. Le ultime parole che aveva sentito poco tempo prima pronunciare da lui, e che ci riporta, suonano come un testamento morale:

“Mau… ogni film ha la sua dignità… e tu questa dignità la devi difendere a tutti i costi… sempre”.

La scelta. L’amicizia, il cinema, gli anni con Ermanno Olmi è un libro scorrevole, piacevole e coinvolgente, per l’affetto e la gratitudine che trapelano da ogni pagina, e perché ci insegna che le direzioni che diamo alle nostre vite dipendono sì dalle attitudini e dalle passioni, ma anche da chi abbiamo la fortuna di avere accanto e di decidere di seguire. Una lettura sicuramente consigliata non solo agli appassionati di cinema ma anche agli amanti delle storie vere e di amicizia.

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«La scelta di un giovane dipende dalla sua inclinazione, ma anche dalla fortuna di incontrare un grande maestro»

RITA LEVI-MONTALCINI

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Prefazione di

EMANUELA MARTINI

Ti ricordi, sull’Opel Blitz, col Torri?

Quando si gira, bisogna sempre lasciare una porta aperta sul set, perché non si sa mai chi o cosa può entrare.

(Jean Renoir)

Un giorno del 1980, verso sera, un regista italiano nel pieno della maturità artistica e un trentenne da poco promosso aiuto operatore, si avventurano su una jeep lungo la mulattiera che porta in cima al Monte Vetraio nei pressi di Volterra dove, vicino ai ruderi di una fortezza medicea, è stato allestito il set principale di un film sui Re Magi. Sta diventando buio.

“Arrivati in cima, lo spettacolo del tramonto con gli ultimi raggi del sole che illuminavano i ruderi della fortezza e, più giù, una distesa di colline brulle come solo la Toscana sa offrire, toglieva letteralmente il fiato”.

“Monta la macchina, dai, su… disciulles!” poi, afferrati i pali con le teste di montone era corso a infilarli attorno al recinto già allestito, quello del pastore, segno inequivocabile che oltre non si poteva andare pena la stessa fine di quelle teste che ora, negli ultimi lucori del giorno, brillavano sinistramente come tanti fantasmi.

“Pronta la macchina…” urlai.

“Apri tutto…(il diaframma) … dai che ce la facciamo. Và, c’è anche la luna… “

D’un tratto, mentre la macchina girava, un grosso masso si staccò da un muro diroccato e, lentamente, rotolò verso il recinto. Sempre con l’occhio alla macchina, Ermanno non fece una piega e continuò girare finché il masso non urtò un palo con il teschio, facendolo cadere a terra. Sembrava una scena preparata a regola d’arte e invece era solo pura casualità, ma in queste cose Ermanno credeva molto, tant’è che al ritorno disse: “Impara… eravamo solo io e te e quel pietrone ha voluto fare la sua parte, se c’era tutta la troupe mica la faceva”.

Il film era Camminacammina, il suo autore Ermanno Olmi, che nel 1978 con L’albero degli zoccoli aveva vinto la Palma d’oro a Cannes e molti altri premi nazionali e  internazionali, l’aiuto-operatore alle prime armi Maurizio Zaccaro, che aveva cominciato a lavorare con Olmi caricando casse e attrezzature sulla Opel Blitz con cui il regista lombardo andava in giro per l’Italia alla ricerca di set e volti e che sarebbe diventato il suo fedele discepolo e poi, come diceva Olmi, il suo “alfiere”. Camminacammina non ebbe l’esito unanime del film precedente. Forse era un film troppo insolito e scomodo, aspro e inaspettato: troppo lungo, fu ridotto dall’autore a una versione di 171 minuti, fu presentato fuori concorso, nel 1983, al festival di Cannes e, imprevedibilmente, nonostante fosse ispirato al Vangelo di Matteo, fu vietato, da noi, ai minori di 14 anni. Forse perché, come scrisse indignato Lino Miccichè: “Ai censori non deve essere piaciuto il fatto che, in Camminacammina, il presepe non è una decorazione per il panettone”. D’altronde, Olmi di “presepi”, ossequiosi ed edulcorati, non ne aveva e non ne avrebbe mai fatti, nemmeno quando dirigeva film industriali, nemmeno quando, nel 1983, fu incaricato dal Comune e dagli imprenditori milanesi di realizzare un film che cantasse l’ascesa della “Milano da bere” (e Milano ’83 cantava, eccome, ma la musica olmiana della vita vera e non quella luccicante immaginata dai committenti), nemmeno quando nel 2014 celebrò il centenario della Prima guerra mondiale con l’amarissimo, dolente Torneranno i prati.

Ma quella sera, sul Monte Vetraio, il cinema reclamava la sua libertà, il film si faceva sotto gli occhi dei suoi artefici. Come diceva ancora Olmi: “I film a un certo punto si fanno da soli”. Una percezione dell’occhio, una lezione dell’istinto che tutti i registi davvero bravi conoscono: un pietrone che cade, una nuvola che passa, un temporale in arrivo, un pensiero imprevisto che attraversa gli occhi di un interprete, un colpo di vento che scompiglia una tenda, tutto quello che la vita vera ti regala e che la sceneggiatura non può immaginare. Afferrarli al volo, distillarne la poesia, ma soprattutto essere abbastanza liberi da permettere alla loro libertà di interagire con la nostra.

Sono solo alcune delle tante lezioni o, forse meglio, dei tanti consigli di vita e di lavoro che un personaggio tanto libero (di dentro, di testa e di cuore) come Ermanno Olmi suggerisce a chi lo ascolta attraverso le pagine di La scelta, diario o, come preferisce l’autore e come direbbero gli inglesi, “chronicle”, senza fronzoli e troppi attaccamenti al passato, che Ermanno avrebbe sinceramente detestato. Stare con lui non era un lavoro ma, ogni volta, per ogni film, uno straordinario balzo nel futuro. “Un viaggio nell’utopia, cioè in nessun luogo reale, tranne quello, alla fine, dello spazio fisico senza tempo di una sala cinematografica che con la sua grande luce conforta la nostra inguaribile solitudine.”

Così, senza fronzoli, ma con un senso preciso della scansione narrativa e della fisionomia dei personaggi, Maurizio Zaccaro racconta un’amicizia e una collaborazione durate quarant’anni, dal 1978 al 2018, quando Olmi morì, e Zaccaro non c’era perché era a Lampedusa, impegnato a girare 35° parallelo (oggi intitolato Nour), tratto da Lacrime di sale del medico dell’isola Pietro Bartolo, anche questo un soggetto delicato, censurabile e censurato, che, come tutti i film, non si poteva fermare, perché, come dicono, ancora, gli inglesi, “The show must go on”.

Zaccaro non lo dice, ma si capisce che Olmi non avrebbe voluto che abbandonasse il suo set. Si erano visti qualche mese prima quando, nella sua casa di Asiago, malato, Olmi stava preparando il trattamento del film che non avrebbe mai girato, K 23. La pianista e il despota, sulla storia della pianista russa Marja Judina. Lavorando insieme a lui, Zaccaro ricevette “L’ultima, grande, impareggiabile lezione di sceneggiatura”. Poi, a maggio del 2018, si erano parlati al telefono, uno a Lampedusa e l’ altro in ospedale ad Asiago. Gli aveva detto, quasi per consolarlo pudicamente di non essere là: “Mau… ogni film ha la sua dignità… e tu questa dignità la devi difendere… a tutti i costi… sempre”. Ed è senza venir meno a questo pudore e a questa dignità, all’amore sconfinato per il cinema e per la sua inventiva e artigianalità, per tutti quelli che, stretti tra istinto creativo e richieste dell’industria, non hanno mai smesso di farlo, il cinema, è con il rispetto dovuto a ogni membro della troupe e a tutti gli eventi, casi, risate, dolori che si susseguono su un set e, prima, durante la sua preparazione, che Zaccaro ripercorre da testimone fedele, a volte un po’ svagato, spesso preso in contropiede dall’irruenza dell’interlocutore, momenti della storia di un autore tanto autore da aver voluto anche trasmettere la sua passione e il suo “metodo” a chi arrivava dopo, ai giovani che si avventuravano prima ad Asiago e poi a Bologna per iscriversi a Ipotesi Cinema, la scuola fondata con Paolo Valmarana.

Quando comincia il racconto, un anno dopo la morte di Olmi, non può non esserci malinconia nel rintracciare le fila di un rapporto tanto vivo, creativo e intenso; ma, nel libro di Zaccaro, oltre all’affetto sincero, sulla malinconia prevalgono l’umanità e l’energia di un “maestro” cui piace più ascoltare le storie degli altri che raccontare sé stesso e l’entusiamo maldestro di un “allievo” che non ha mai preteso di essere né delfino, né erede, ma solo “ragazzo di bottega”, poi collaboratore e, soprattutto, amico e complice. E tra i due, non c’è dubbio (e Maurizio non se ne offende di certo) che il più resistente, travolgente, inventivo, conviviale e vivacemente ilare sia proprio Olmi, quello che non si fermava mai, che non smetteva di indignarsi, che negava di essere un intellettuale anche se passava il tempo con amici come Kezich, Rigorni Stern, Antonioni, Magris, che parlava in dialetto, inseguiva i pietroni, la neve e le nuvole, che diceva che “c’è sempre corrispondenza tra il volto di una persona e i film che poi realizza. Dalla fisiognomica di un individuo si può intuire il tipo di cinema che costui farà. Antonioni parlava sempre sottovoce e ha fatto un cinema molto riflessivo, persino cerebrale. Fellini era lui stesso un clown. Rossellini era di incontenibile passionalità, procedeva per impulso: lo esaltava l’istante in cui scaturiva il lampo di un’idea. Poi girare il film lo annoiava”.

E cosa s’intuiva dal volto di Ermanno Olmi, che era arguto e acuto, e da giovane piuttosto bello e sempre aperto al sorriso? È difficile trovare una foto in cui Olmi non sorrida, dietro gli occhiali e, negli ultimi anni, dietro la barba. La sua è una faccia intelligente e aperta, una faccia che ti guarda, non una maschera di circostanza. La faccia di uno che non corre, ma si ferma per vedere e ascoltare davvero, e che trasmette alla macchina da presa la consapevolezza di questa umanità, si tratti di umani o animali o natura, di tranvieri, impiegati, operai o dei Re Magi sui generis o di Giovanni delle Bande Nere affogato nella sua sanguigna disperazione.

Dimenticare la malinconia. Accettare come regalo dalla vita uno scoiattolo che ogni mattina, d’estate, viene a far colazione sul terrazzo ad Asiago con un pezzettino di noce. E sognare, come fa Puck, il cane bellisssimo, shakespeariano e londoniano, che apre questo libro e che all’alba, al risveglio, travolto forse dal profumo del fieno appena tagliato, lo chiude, con la saggia naturalezza della vita che va avanti, come un fiume, come un film, sempre diverso, sempre appassionante, purché sia giusto, purché sia libero.

Emanuela Martini

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“Un tracciato di vita nel cinema, il cinema che si sporca le mani e ha le idee nel sangue. La vicenda artistica di Ermanno Olmi intrecciata alla crescita di una cadetto (“Alfiere.”,  con lo stendardo della casata dell’autore…) che diventa autonomo scoprendo il mestiere delle armi acquista un valore umano e comunitario di autentico rispecchiamento, appartiene cioè profondamente ai valori di Ermanno. La materia c’è, eccome. Ogni episodio invita a proseguire, dal lavoro sulla testa del montone, alle censure, alle confessioni (anche sulla malattia), e per un aneddoto che dice comunque il cinema (il salame al montatore, per dire) c’è sempre un senso di collettività, mentre si racconta l’ingegno artigianale dell’autore. nonché le scoperte di un giovane che poi va per la sua strada.”

Silvio Danese – Critico cinematografico QN

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“E’ un testo molto, molto bello. La narrazione di una vocazione, di una grande amicizia, di un sistema, di un Paese con grandi talenti e altrettanta insopprimibile voglia di libertà ma anche capace di farsi del male, ora con la censura, ora con le ombre (con che delicatezza Zaccaro ha trattato le mene nei Festival, alla Rai … ), ora dimentico di quello che il mio amico Gian Antonio Stella battezzò “quando i migranti eravamo noi”. Le ultime pagine, a partire dal Villaggio di cartone, sino alla Lampedusa di “Nour”, al Monumento Porta d’Europa, al vagare per l’isola col rimorso del cellulare sul silenzioso, all’invito a Fabio Olmi di correre a casa. Alla luce di queste pagine, mi convinco sempre di più di ciò che sto dicendo da tempo agli amici (e forse l’ho anche scritto): è stato un autentico dono del Signore (io mi esprimo così) aver avuto l’opportunità di lavorare con Ermanno, di stare con lui, con Loredana, ad Asiago, con Betta, con Fabio. E mi fermo qui. Un libro è come una semina, (di nuovo un riferimento alla straordinaria esperienza di Ipotesi Cinema): alius seminat, alius metet. Per chi lavora è una grande consolazione diventarne consci e andarne orgogliosi, alfieri!”

Marco Garzonio, giornalista, scrittore, cosceneggiatore di “Vedete, sono uno di voi” di Ermanno Olmi

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Amare il cinema, amare la verità, amare l’umanità, essere Olmi. Bellissimo libro scritto senza fronzoli ma con amore e rispetto, come si deve.

Valeria Cavalli, attrice

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Un libro di grandi suggestioni, contenuti importanti e rara misura.

Lucia Tilde Ingrosso, giornalista, scrittrice

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“La scelta”, storia di amicizia di altri tempi, ha il raro pregio di fare da spartiacque fra lealtà e ipocrisia, fra onestà e impostura.

Giovanna Morselli – Libraia

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Un libro sincero e toccante, che ha il merito di svelare quanto la settima arte sia esposta agli umori del potere. Un testo fondamentale per tutti i giovani a cui, non a caso, l’autore dedica un pensiero di Rita Levi Montalcini: “La scelta di un giovane dipende dalla sua inclinazione, ma anche dalla fortuna di incontrare un grande maestro”.

Antonio Losanna – Semiologo

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Ermanno Olmi con Franco Piavoli

“Un uomo solo, nella sua porzione di terra, ha vissuto qui, separato dal mondo, per più di 40 anni, non ha il telefono, la luce, non usa il gas, non possiede l’automobile e tuttavia non gli manca nulla per vivere. Quest’uomo ha vissuto la corruzione della nostra terra come un atto sacrilego e ha posto in salvo il suo piccolo mondo…

dal film Terra Madre

mauriziozaccaro Mostra tutti

Regista e sceneggiatore italiano.
Italian film director and screenplayer.

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