LA FELICITA’ UMANA – HUMAN HAPPINESS



Un “saggio cinematografico” a tema costruito con dedizione, logica, ricca documentazione e buona capacità di empatizzare con gli spettatori. Recensione di Anna Maria Pasetti – My Movies – giovedì 24 novembre 2016
Vasto come l’oceano e mutevole come il cielo stellato, il concetto di “felicità umana” è diventato l’oggetto di indagine di Maurizio Zaccaro nel corso di una vita, da quando, da studente pendolare milanese, ricorda di aver divorato “il superpocket da 350 lire de La conquista della felicità di Bertrand Russell”. Per raccontare la quest verso la comprensione attuale di uno stato emozionale così indefinibile, il cineasta si è avvalso delle suggestioni e delle opinioni più disparate provenienti dall’attraversamento geografico, politico e culturale del pianeta: questo a implicita dimostrazione che il desiderio di felicità è forse uno dei rari aspetti che accomuna e ha accomunato chiunque nella corso della Storia.
Una barca a vela spezzata s’impone sulla locandina de La felicità umana, altrimenti tradotto in sottotitolo come Le Bonheur Humain – Human Happiness. Non è spiegato il motivo della scelta di un’immagine così apparentemente lontana dall’idea di “felicità” come da contemporaneo immaginario collettivo, eppure essa naviga in un senso di pertinenza giacché intimamente connessa con quanto lo stesso Zaccaro ha scelto quale logline del suo film. Si tratta di un intrinseco legame fra l’idea stessa di desiderio e quella di felicità che Seneca mirabilmente teorizzò sentenziando “Povero non è colui che possiede molto, ma colui che desidera di più”. Oggi la frase senechiana appare di un’attualità feroce e stringente, di portata rivoluzionaria quanto la necessità che lo stile di vita consumistico predominante capovolga i propri connotati affinché non solo si possa “immaginare la felicità”, ma addirittura la sopravvivenza del genere umano.
Il documentario di Zaccaro si appropria strutturalmente di questo paradigma e in virtù di esso inanella una serie di opinionisti interrogati sul tema, includendo esimi filosofi, economisti, attivisti, registi, attori, scrittori, sperimentatori, politici, suore e – sul finire – una semplice vecchietta. L’indagine trasporta il regista inizialmente nella Francia di due teorici “illuminati” come Serge Latouche e André Comte-Sponville, ai quali è affidata la spiegazione dell’imprescindibile connotazione tra economia e la percezione attuale di felicità umana, ormai non solo sradicata dall’astrattismo sacrale del Medio Evo ma anche mutata da collettiva a individuale. In altre parole, l’essere umano contemporaneo ha l’impressione di essere felice se vive nel benessere materiale e nella sicurezza dal pericolo: tutto il resto porta inesorabilmente all’infelicità. Tale lapalissiana premessa, ben strutturata nel pensiero dei due filosofi, apre il campo alle riflessioni successive su cui – in definitiva – poggia il capovolgimento di cui sopra già profetizzato da Seneca. Sono infatti le voci raccolte in vari Stati del mondo da Zaccaro a (di)mostrare quanto in realtà quell’idea di felicità non sia appunto altro che un’impressione e che, peggio ancora, può portare solo all’annientamento dell’umanità perché si nutre di sentimenti contrari all’umanesimo più profondo. Soprusi, guerre e violenze di ogni forma e natura orientate al “possedere sempre di più” hanno di fatto condotto a una gerarchia di poteri ben lontani se non opposti alla felicità.
La proposta di cui si fa carico il documentario attraverso le voci degli intervistati è dunque quella di interrompere tale circolo vizioso e indirizzarsi verso una sobrietà nei consumi che possa finalmente scollegare l’economia finanziaria e mercantile dal desiderio di felicità. Non è un caso che la Danimarca, ovvero il Paese “più felice del mondo” secondo il Rapporto Mondiale della Felicità 2016, sia abitato da cittadini che “sanno accontentarsi”. Non per ultimo, il film amplifica il discorso, testimoniando al suo pubblico che senza una vita di relazioni è impensabile essere felici: parola di diversi funzionari e manager di successo che hanno scelto di liberarsi dalla schiavitù di un lavoro che impediva loro di vivere le gioie famigliari. Rigoroso e ambizioso, La felicità umana manifesta la struttura e l’estetica di un “saggio cinematografico” a tema costruito con dedizione, logica, ricca documentazione ma anche con un buona capacità di empatizzare con gli spettatori.

La felicità umana: un quadro appassionato, ma non certo roseo, dell’attuale stato emotivo della popolazione mondiale
di Marco Paiano – Cinematographe
La felicità umana è un documentario di Maurizio Zaccaro, presentato nella sezione Festa Mobile del Torino Film Festival 34. Attraverso interviste a studiosi, artisti, religiosi e persone comuni, il film si prefigge l’obiettivo di riflettere sull’essenza più pura e vera della felicità, proponendo serie e profonde riflessioni sul modo di vivere e sulle scelte politiche ed economiche della società contemporanea.
Fra gli altri, sono presenti ne La felicità umana in varie forme il regista e attore Sergio Castellitto, il regista e disegnatore Bruno Bozzetto, il regista Ermanno Olmi e il filosofo André Comte-Sponville.
Che cos’è la felicità? Cosa possiamo fare per raggiungerla? Gli abitanti del mondo odierno stanno davvero facendo il meglio possibile per rendere e rendersi felici? A queste e altre domande cerca di rispondere La felicità umana, dando parola a un coro di voci variegate ed eterogenee, ognuna con proprie idee e la propria ricetta per vivere meglio. Assistiamo così a un continuo passaggio del testimone fra filosofi, artisti, economisti e persone della porta accanto, che come tante tessere di un puzzle apportano i loro contributi, spesso in antitesi fra loro, nel dipingere un quadro appassionato, ma non certo roseo, dell’attuale stato emotivo della popolazione mondiale. Maurizio Zaccaro è abile nel gestire con i giusti tempi e modi le diverse personalità a sua disposizione, senza lasciare che nessuna di esse diventi preponderante all’interno della narrazione. Inevitabile che con così tanta carne al fuoco qualche passaggio e alcune delle tante storie umane risultino meno centrate e azzeccate, soprattutto nella parte finale, ma il risultato è comunque un prodotto di grande sensibilità e profondità, che in poco più di un’ora ci mostra vizi e miserie della nostra società, con il discreto ma deciso accompagnamento delle musiche originali di Yo Yo Mundi e Andrea Alessi e di brani di Beethoven.
La felicità umana in una vita semplice e modesta





Fra i passaggi più intensi e toccanti ci sono sicuramente le tristi e dolorose immagini degli atroci attentati perpetrati dall’Isis in Francia, che portano a una lucida e severa riflessione da parte di André Comte-Sponville sui danni che il fanatismo religioso ha fatto e continua tuttora a fare nella mente e nelle vite delle persone. Su schermo scorrono poi le immagini e le parole del celebre discorso di Robert Kennedy sul PIL, unità di misura economica che indica la ricchezza di un popolo, ma che non comprende aspetti e attività fondamentali nel determinare la salute e la felicità delle persone. Argomentazioni simili arrivano anche dal discorso dell’ex presidente uruguaiano José Mujica, che invoca più tempo libero per le persone e meno energie spese nel lavoro.
Tessendo la sua trama, che con il passare dei minuti prende sempre più forma, Maurizio Zaccaro continua la sua ricerca della ricetta perfetta per la felicità dando voce ai singoli: una coppia italo-danese che spiega perché la Danimarca è considerata la nazione più felice del mondo, una suora che ha trovato il senso della propria esistenza in una vita umile e interamente dedicata alla fede. Esperienze di vita diverse, ma accomunate dalla capacità di trovare gioia e soddisfazione in una vita semplice e modesta. Il fine ultimo de La felicità umana è infatti proprio quello di mostrare il fallimento di un intero sistema, che con la sua corsa sfrenata verso la ricchezza e il superfluo ci sta inesorabilmente rendendo tutti più tristi e soli, facendoci perdere di vista la gioia delle piccole cose e dei rapporti affettivi.
La felicità umana cerca nel particolare la chiave di volta per comprendere l’universale
La felicità umana è un film onesto e sincero, che cerca nel particolare la chiave di volta per comprendere l’universale, fornendo utili spunti di riflessione per la ricerca della tanto agognata felicità. Un piccolo grande film, certamente non adatto a tutti i palati, ma che saprà stimolare e soddisfare chi sarà disposto a coglierne la più intima essenza.
















Full movie – English version
UN FILM CHE RENDE FELICI (MA NON SOLO)
di Lucia Tilde Ingrosso , 6 aprile 2017
La vita regala privilegi preziosi. Come quello di vedere, martedì, allo Spazio Oberdan, il docufilm di Maurizio Zaccaro “La felicità umana”. Una riflessione filosofica – profonda, originale, colta, disruptive – sul concetto di felicità. Una felicità più sociale, che personale. Più matura, che giovanile. Più cerebrale, che istintiva.
Una riflessione a più voci. Da quella dell’economista e filosofo Serge Latouche (lo senti parlare e ti innamori) a quella del vecchio leone Ermanno Olmi. Senza dimenticare il Papa e un immigrato, un agricoltore biologico e una suora. E tanti, tanti altri ancora, ai quattro angoli del mondo.
Ricco come un documentario, ma piacevole come un film, “La felicità umana” ti riempie e ti soddisfa. Poi, quando si accendono le luci, ti senti piena di mille domande.
Zaccaro non ha certezze né preconcetti incrollabili. Ma qualche idea te la butta là. In ordine sparso… A dare la felicità non è tanto la quantità dei soldi, ma la loro equa distribuzione nella società. Il progresso ha allontanato l’uomo da alcune pratiche che lo renderebbero più felice; tipo: rispettare il Pianeta. Le verità assolute avvicinano più all’estremismo che non alla felicità. Apprezzare ciò che si ha e non volere sempre di più è un ottimo punto di partenza.
Il regista sta portando “La felicità umana” in giro per l’Italia, specie nelle scuole. Ad apprezzarlo, soprattutto i ragazzi. Uno di loro, a Ragusa, a fine proiezione, gli ha chiesto: «Vorrei il dvd, per rivederlo con la mia ragazza». Tradotto: desidero condividere ciò che ho amato con chi amo.
Bello, no?




NOTA DI REGIA

“Povero non è colui che ha poco, ma colui che desidera infinitamente tanto”
Ho preso in prestito da Seneca questa frase come Logline del film perché “La felicità umana” nasce da una suggestione ben precisa: provocare una riflessione, magari scomoda, su uno degli aspetti più sfuggevoli dell’esistenza. Cerchiamo la felicità personale, la perseguiamo fino all’ossessione senza pensare che non potremo mai conquistarla perché non ci appartiene, almeno come singoli individui. La felicità intesa come bene interiore ma anche spirituale non appartiene a nessuno, e non potrebbe essere altrimenti vincolata com’è all’economia dei Paesi nei quali viviamo, a loro volta legati indissolubilmente all’economia mondiale. Che fare quindi per godere almeno una parvenza di felicità durante il nostro fulmineo passaggio su questo pianeta? Secondo il Rapporto Mondiale della Felicità del 2016, redatto dall’Onu, ci sono Paesi molto “felici” (Danimarca e Australia per esempio, ma anche il Bhutan. L’Italia è solo 50esima) e altri dai quali si fugge per cercare appunto la felicità negata da guerre, tirannie, sopraffazioni e carestie. Ci sono esseri umani che s’illudono di vivere nella felicità, anche se sintetica, perché ricchi e soddisfatti come in uno spot dei biscotti, e altri che non riescono nemmeno a immaginarla, la felicità. Per questi ultimi essa è un aspetto della vita talmente vago da essere come il bagliore del sole allo zenit, così intenso e accecante da cancellare qualsiasi altra cosa visibile nei paraggi: un incubo. Non a caso Oscar Wilde, con la sua consueta quanto tagliente ironia, definì questa paradossale condizione umana così: “Ci sono due tragedie nella vita, due drammi che noi viviamo: uno, quello di non avere ciò che desideriamo; l’altro, di aver soddisfatto il nostro desiderio!”
Viviamo in un circolo vizioso (vivi, produci, consuma, muori), ci disperiamo, lottiamo, sudiamo per poi spegnerci nel silenzio, rimbambiti e soli, magari dentro case di riposo dal nome involontariamente beffardo, come “Villa Felice”.
L’alternativa a tutto ciò non è vivere di ghiande in un’austerità esasperata ma, più semplicemente, cercare di liberarci dall’accumulo, saperci accontentare e così rivoluzionare il concetto stesso di Economia. A quel punto la vera felicità arriverà da sé, grazie alle nostre relazioni sociali, alla vita serena con gli amici, con la propria famiglia, con i figli, decolonizzando così la nostra mente dai bisogni effimeri indotti da un mercato sempre più feroce e cinico, dominato dal “libero scambio” che, come suggerisce il filosofo francese Serge Latouche, è come dire: “libera volpe nel libero pollaio”.
Maurizio Zaccaro




Alla ricerca della felicità umana, il viaggio di Maurizio Zaccaro al Festival di Torino di Mattia Pasquini (Nexta)
Un obiettivo, che ogni consesso civile dovrebbe condividere con i propri componenti, i singoli uomini e donne che ogni giorno si battono per inseguire sogni e traguardi spesso solo apparentemente reali, o quanto meno illusori. Almeno quando a capacità di realizzare o rendere raggiungibile quella che il regista milanese Maurizio Zaccaro è andato indagando nel suo nuovo documentario, La felicità umana, presentato al Festival di Torino 2016 nella sezione Festa Mobile.
“Non c’è posto per chi si lascia vincere dallo stato delle cose, per chi si lascia sottomettere da un’economia sempre più selvaggia” nel mondo di oggi, ammonisce Zaccaro nella presentazione del suo film, una riflessione sull’essenza più pura e vera della felicità e del nostro vivere moderno attraverso – e con l’aiuto di – una serie di interviste a studiosi, artisti, religiosi e persone comuni (“non ci sono i potenti”, sottolinea): dai registi Sergio Castellitto, Ermanno Olmi, Markus Imhoof e Bruno Bozzetto ai filosofi André Comte-Sponville, Serge Latouche, Carsten Seyer-Hansen, fino all’ex presidente dell’Uruguay José Pepe Mujica e altri.
“Quando compro qualcosa, non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli” dice proprio il politico latinoamericano. È il ‘tempo della vita’ contro la ‘schiavitù del lavoro‘, dei consumi: questa la dicotomia, la contrapposizione che emerge a più riprese nella ricerca che per sua stessa ammissione “ha portato lontano” Zaccaro nella sua ricerca di risposte, di leggerezza, di felicità dalla quale però emerge forte una vera e propria “provocazione“.
E una domanda: “è vera felicità?”. Forse no. “Sembra che abbiamo rinunciato all’eccellenza personale e ai valori della comunità in favore della mera accumulazione dei beni materiali” ci ricorda il filmato, evidenziando il modello di felicità che quotidianamente il mercato ci impone attraverso i media, la pubblicità. La commercializzazione di ogni sentimento, immagine, pensiero che attraverso i social e nuovi canali di comunicazione ci siamo ormai abituati a considerare ‘strumento. Secondo la stessa logica per cui ogni avvenimento che viviamo deve essere eccezionale, un evento, unico e irripetibile, anche se standardizzato e seriale… È un caso che tanto i miliziani dell’Isis quanto una suora interpellata concordino sul fatto che la felicità sia tutt’altro, soprattutto in rapporto con la divinità, e che “questa economia uccide”?
Forse no. Ma allora: che cosa è e come si raggiunge la felicità? Una domanda tanto semplice, eppure alla quale sembra impossibile rispondere. E che da sempre ispira reazioni non necessariamente banali. E che in questo film – sociale più che filosofico – acquista una valenza quasi rivoluzionaria, anche nel suo contrastare in qualche maniera la globalizzazione cercando di spingere a rivedere le proprie resistenze più o meno consapevoli al concetto di ‘inclusione’. Forse anche per il periodo e le contingenze storiche nelle quali ci troviamo, e che riemergono in molte delle ‘confessioni’ degli intellettuali mostrati, come nelle tante risposte di tante persone comuni che – come dice il regista – “quando parli di felicità sentono di avere una bacchetta magica o di essere in grado di dirti come raggiungerla”.
Per Zaccaro, “la felicità è stata un viaggio, una occasione per vedere persone che non vedevo da tempo”; un viaggio che lo ha portato in giro per il mondo da solo per tre anni e mezzo – durante la realizzazione di altri progetti – per costruire il suo film, completamente indipendente e mosso dalla frase Seneca da cui tutto parte, in un certo senso: “povero non è colui che ha poco, ma colui che desidera infinitamente tanto”.








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Regista e sceneggiatore italiano.
Italian film director and screenplayer.