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I NOVE SEMI, l’India di Vandana Shiva

SHIVA

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Un intenso ritratto di Vandana Shiva realizzato da Maurizio Zaccaro durante le riprese inIndia per il docufilm Terra Madre di Ermanno Olmi. Il documentario, prodotto da Cineteca di Bologna e ITC Movie srl, racconta l’esperienza del movimento Navdanya di cui Vandana Shiva è ideatrice e promotrice, la sua banca delle sementi per la salvaguardia della biodiversità della produzione agricola. Un nuovo modo di pensare, una conoscenza aperta e integrata, un approccio ai temi dell’ambiente come strettamente connessi allo sviluppo economico e alla lotta alla povertà. Il nome del movimento Navdanya (che in Hindi significa “nove semi”) trae spunto dal rituale, molto diffuso nel sud dell’India, di piantare nove semi in un vaso il primo giorno dell’anno. Dopo nove giorni le donne si incontrano e confrontano i risultati, vedendo quali semi si sono comportati meglio; a questo punto si organizzano scambi cosicché tutte le famiglie possano piantare i migliori semi a disposizione. Gli scopi di Navdanya sono la difesa della biodiversità, la creazione di una banca di sementi da scambiare con i contadini che aderiscono al movimento, la riconversione dei campi a un’agricoltura interamente biologica.Grazie a questa esperienza, Vandana Shiva è diventata una delle leader mondiali del movimento contro i brevetti sugli organismi viventi.

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“I Nove Semi. Viaggio nell’India di Vandana Shiva” di Maurizio Zaccaro – in collaborazione con Cineteca di Bologna

Regia: Maurizio Zaccaro. Fotografia: Fabio Olmi. Suonoin presa diretta: Francesco Liotard. Musicheoriginali: Theo Teard. Montaggio: Maurizio Zaccaro.Post-produzione:L’Immagine ritrovata,Bologna. Produzione: GianLuca Farinelli,Cineteca di Bologna, Beppe Caschetto,ITC Movie, con la collaborazione di Slow Food Fondazione Terra Madre 

Girato in India, nello stato dell’Uttaranchal, il documentario è dedicato all’esperienza di Vandana Shiva e alla comunità Navdanya, da lei fondata con lo scopo di difendere la biodiversità, creare una banca di sementi da scambiare con i contadini che aderiscono al movimento e riconvertire i campi a un’agricoltura interamente biologica. Alla base di questà comunità vi è una tradizione, ancora molto diffusa tra le famiglie del sud dell’India, che vuole che ogni primo giorno dell’anno si piantino in un vaso nove semi. Dopo nove giorni le donne portano i vasi sul fiume, si incontrano e confrontano i risultati, vedendo quali semi si sono comportati meglio; a questo punto si organizzano scambi cosicché, durante il periodo della semina, tutte le famiglie possano piantare i migliori semi a disposizione, ottimizzando così le scorte di cibo del villaggio.

VANDANA SHIVA

Vandana Shiva è una studiosa e attivista ecofemminista indiana, considerata tra le teoriche più note dell’ecologia sociale. Nel 1978 consegue il dottorato di ricerca in filosofia presso l’University of Western Ontario (Canada) con una tesi sulle implicazioni filosofiche della meccanica quantistica. E’ stata ricercatrice presso l’Indian Institute of Scienze e l’Indian Institute of Management di Banalore. Nel 1982 fonda la Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy e si dedica ai temi della biodiversità, della bioetica, delle implicazione socio-economiche connesse all’uso delle biotecnologie e dell’ingegneria genetica.  Nel frattempo inizia a seguire con attenzione l’impegno femminile per la difesa del pianeta e si unisce al movimento Chipko, che a partire dagli anni Settanta è stato protagonista di proteste che hanno visto le donne indiane mobilitarsi contro la deforestazione. Ha fondato l’associazione Navdanya (in hindi “nove semi”). Per il suo impegno a favore della popolazione indiana e per la sua lotta in difesa dell’ambiente, è stata premiata con il Right Livehood Award. Il 9 aprile 2013 ha ricevuto dall’Università della Calabria la laurea honoris causa in Scienza della nutrizione.

«Nel mondo c’è quanto basta per le necessità dell’uomo, ma non per le sue avidità
(Mahatma Gandhi)

«Vivere con meno è il nostro risarcimento»(Vandana Shiva)

Vandana Shiva, fisica quantistica ed economista militante ambientalista, è considerata la teorica più nota dell’ecologia sociale. È conosciuta grazie al successo di Monocolture della mente (1995), un best-seller in tutto il mondo, e in Italia anche grazie al documentario del 2009 di Ermanno Olmi, Terra Madre, che mostra la raccolta del riso, nei pressi della fattoria Navdanya nella valle del Doon, dove sono custoditi i semi delle varietà locali di riso, tramandati di generazione in generazione. Lei nasce non lontano da lì, in una città dell’Uttar Pradesh, nelll’India del Nord-est. La famiglia è “progressista”, impegnata nella lotta gandiana per il superamento delle caste nell’India; la cultura e l’attenzione per i diritti civili e sociali sono di casa.
Il padre è una guardia forestale e la madre una maestra di scuola diventata contadina dopo la sanguinosa guerra di partizione tra India e Pakistan nel 1947-1948. La casa dei genitori è frequentata da intellettuali e discepoli del Mahatma Gandhi. Vandana, quindi, sin da piccola disprezza il sistema delle caste e viene educata alla parità dei sessi.
L’infanzia di Vandana non è solo cultura, ma anche contatto diretto con la terra; trascorre la sua infanzia tra le foreste del Rajahstan e la fattoria gestita dalla madre, subendo fin da piccolissima il fascino e la maestosità della natura.
Sempre grazie alla famiglia, Vandana può frequentare la scuola e il collegio cattolico di Dehra Dun e, dopo il diploma in fisica, dal 1970 l’università di Guelph, in Canada, dove consegue la laurea in filosofia della scienza, e poi quella del Western Ontario per il dottorato sui concetti filosofici della meccanica quantistica nel 1979.
Vandana torna in patria, a Bangalore, come ricercatrice in politiche agricole ed ambientali all’Indian Institute of Sciences, e all’Indian Institute of Management.
Nel 1982 Vandana torna a Dehra Dun dove crea la Fondazione per la scienza, la tecnologia e l’ecologia, un istituto indipendente di ricerca, proprio mentre nella valle si diffonde il movimento Chipko, delle donne contro la distruzione delle foreste da cui traggono sostentamento. Nell’Uttar Pradesh, sono evidenti le conseguenze della “rivoluzione verde”, dei fertilizzanti e delle varietà selezionate di semi: la resa è aumentata insieme alle estensioni coltivate a monocoltura, al degrado del suolo e delle acque, alle espropriazioni “facili” (la riforma agraria promessa da Nehru nel giorno dell’Indipendenza non è ancora iniziata). Ne sono vittime prima di tutto le donne, senza diritti men che meno di proprietà, le cui antiche pratiche sono meno produttive ma più rispettose degli ecosistemi, scrive in Staying Alive (1988). È il primo di oltre venti saggi, seguito sullo stesso tema nel 1990 dal rapporto sulle contadine indiane per conto della FAO, e da Eco-feminismo con Maria Mies, in cui scrivono: «Le donne non riproducono solo se stesse, ma formano un sistema sociale e dalla loro creatività proviene quello che io chiamo eco femminismo. Le donne sono le depositarie di un sapere originario, derivato da secoli di familiarità con la terra, un sapere che la scienza moderna baconiana e maschilista ha condannato a morte».
Nel 1991 Vandan Shiva fonda Navdanya (in hindi “nove semi”), il movimento che con altri sorti in tutto il mondo è presente al vertice di Rio de Janeiro nel 1992 dal quale nascono i primi accordi internazionali per la protezione della biodiversità e per la repressione della biopirateria. Da quel momento la difesa dei semi autoctoni contro le multinazionali che cercano di rivendicare come loro “proprietà intellettuale” varietà agricole selezionate nei secoli da comunità locali, diventa il maggior impegno di Vandana Shiva.
Quei “nove semi” rappresentano le nove coltivazioni da cui dipendono la sicurezza e l’autonomia alimentare dell’India. Il nome, dice Vandana Shiva, le è venuto in mente osservando un contadino che in un unico pezzo di terreno aveva piantato nove tipi di semi diversi. Oggi Navdanya conta circa 70 mila membri, donne per lo più, che praticano l’agricoltura organica in 16 stati del paese, una rete di 65 “banche dei semi” che conservano circa 6.000 varietà autoctone, e la Bija Vidyapeeth o Scuola del Seme che insegna a “vivere in modo sostenibile”.
Durante le riprese del documentario Terra Madre sopra citato, Maurizio Zaccaro ha realizzato un film documentario dal titolo Nove semi dove la stessa Vandana Shiva racconta l’esperienza della sua fondazione.
Ma Navdanya non è l’unico impegno di Vandana, che interviene nelle conferenze internazionali, viaggia in Africa, in Europa, in America Latina e in altri paesi asiatici, e dal 1996 partecipa in tutto il mondo alle lotte contro gli organismi geneticamente modificati, la crescita ad ogni costo, l’ingiusta ripartizione delle risorse e altri mali della globalizzazione. «Il cosiddetto sviluppo economico – scrive – anziché risolvere i problemi, rispondendo ai bisogni essenziali del mondo e della popolazione, minaccia la sopravvivenza del pianeta e degli esseri viventi che lo abitano. Questa apparente crescita economica, infatti, non ha creato nient’altro che disastri ambientali ed ha provocato un forte indebitamento dei paesi in via di sviluppo che, per creare delle basi adeguate per la loro crescita, tolgono risorse alla scuola e alla salute pubblica».
Consulente per le politiche agricole di numerosi governi, in Asia e in Europa (anche della regione Toscana), membro di decine di direttivi in altrettanti organismi internazionali, premiata più volte all’anno dal 1993, vive in parte nell’ambiente cosmopolita delle Nazione Unite e in parte nel mondo rurale indiano al quale è ancorata da Navdanya,
Le battaglie più notevoli vinte da Vandana, sono state contro le multinazionali che avevano ottenuto i brevetti del neem, del riso Basmati e del frumento Hap Nal. Questi ultimi due sono anche prodotti d’esportazione e paradossalmente, se i brevetti non fossero stati revocati, gli agricoltori indiani avrebbero dovuto pagare royalties alle società americane RiceTec e Monsanto, su ogni partita venduta all’estero.
Per questo suo enorme impegno a favore della popolazione indiana e per la sua lotta a favore dell’ambiente, Vandana Shiva nel 1993 è stata premiata con il “Right Livehood Award”, detto il Nobel per la pace alternativo.
Le resta da vincere la lotta contro gli Ogm e più in generale contro le monoculture e i loro oligopoli:
«Oggi siamo testimoni di una concentrazione senza precedenti del controllo del sistema agroalimentare internazionale in cui convergono essenzialmente tre aspetti: il controllo dei semi, il controllo dell’industria chimica, il controllo delle innovazioni biotecnologiche attraverso il sistema dei brevetti. Il diritto al cibo, la libertà di disporre del cibo è una libertà per la quale la gente dovrà lottare come ha lottato per il diritto al voto. Solo che non vivi o muori sulla base del diritto al voto, ma vivi o muori sulla base del rifiuto del diritto di disporre di cibo».
Intanto, nel settembre 2011 l’India ha denunciato la Monsanto per bioterrorismo.
Naturalmente, le posizioni politiche di Vandana Shiva non trovano concorde la comunità scientifica ed ecologica. Inoltre molte ambientaliste indiane sono preoccupate dalle manifestazioni religiose induiste organizzate da Navdanya e dalla recente insistenza di Vandana Shiva sul ritorno alla tradizione vedica in un periodo di forti tensioni con la minoranza musulmana. Giovani agronome hanno lasciato Navdanya, spiegava Suman Sahal di Gene Campaign-India a WONBIT Conference Women in biotechnology: feminist and scientific approaches una conferenza di Donne e Scienza nel 2007, per raggiungere o fondare movimenti simili, ma non confessionali.
Attualmente Vandana è la vicepresidente di Slow Food e collabora con «La Nuova Ecologia», la rivista di Legambiente.

Bija, seme. Questo è il nome della prima aiutante che Vandana Shiva ha avuto nella costruzione di Navdanja, il progetto di conservazione di semi  che dal 1987 si propone di favorire la biodiversità nell’ agricoltura come modo per combattere la povertà e la desertificazione del territorio.
Abbiamo conosciuto la storia di Bijia guardando su Youtube il bel documentario che Maurizio Zaccaro ha dedicato all’ attivista indiana che ricopre la carica di vicepresidente di Slow Food e che venerdì 9 novembre parlerà a Perugia durante l’ incontro “Dalle Colture alle culture”.
Bijia si era presentata a casa di Vandana Shiva proponendosi come aiuto per pulire e lavare i piatti “Ma a casa nostra” le rispose Vandana Shiva “ognuno ha sempre lavato i propri piatti e non avevamo bisogno di questo tipo di aiuto”. Saputo però che Bijia veniva dalla campagna dove aveva sempre fatto la contadina, le chiese di aiutarla a seminare e coltivare nel giardino della sua casa di Dehli i semi che stava iniziando a conservare.
Da quegli inizi pionieristici Navdanja, che prende il nome dall’ antica abitudine dei contadini indiani di seminare diverse varietà di colture nello stesso terreno per mantenerne la fertilità, si è diffusa in 17 Stati dell’ India costituendo 111 differenti banche per la raccolta delle sementi, e seme dopo seme Vandana Shiva è diventata un punto di riferimento per chi si occupa di biodiversità e di lotta agli OGM grazie anche alle sue prese di posizioni drastiche quanto controverse.
Così mentre il premio Nobel per la pace e padre della Rivoluzione Verde Norman Borlaug sottolineava l’impraticabilità su scala globale delle tecniche di coltivazione proposte da Vandana Shiva, lei nel 1999 chiedeva all’India di rifiutare gli aiuti alimentari offerti dall’ Oxfam perché non era garantito che fossero “OGM free”.
Nel 2001, dopo l’attacco terroristico alle torri gemelle, Vandana Shiva decise di fondare, nella fattoria biodinamica di Navdanja annidata fra l’Himalaya e la pianura del Gange, un’università della terra dove insieme a 250 varietà di riso e altre centinaia di piante precedentemente a rischio di estinzione, si coltiva la speranza in un mondo basato su valori di convivenza, pace e democrazia.
Anche questa università, come la prima aiutante di Vandana Shiva, si chiama Bija. E chissà che da questo seme possa davvero nascere un mondo più equo.

fonte: About India – GruppoZenit Novara

COMO – Tra gli appuntamenti memorabili della passata edizione deIl cinema italiano c’è stata, indubbiamente, la serata dedicata a Terra madre, film collettivo di Ermanno Olmi, Franco e Mario Piavoli e Maurizio Zaccaro, cui seguì una degustazione di prodotti naturali, in adesione ai temi trattati dalla pellicola e, anche, a conferma del bel clima conviviale che si era creato all’Astra. Stasera l’occasione si ripeterà, spostandosi a Oriente, con l’ultima opera dello stesso Zaccaro, che sarà presente in sala, I nove semi – L’India di Vandana Shiva. L’attivista e ambientalista è ideatrice e promotrice del movimento Navdanya con una banca delle sementi per la salvaguardia della biodiversità della produzione agricola: al termine della proiezione, dopo l’incontro con il cineasta, verrà offerta una degustazione di prodotti indiani. Alessio Brunialti

“Penso che la prima cosa da riconoscere sia che il cibo è la base della vita,  e questo è qualcosa che spesso gli ecologisti dimenticano: trattano il cibo come una cosa separata dalla Natura selvatica: se produci il cibo allora non puoi avere la Natura, se c’è la Natura non puoi soddisfare le esigenze umane. Così abbiamo costruito questi dualismi incredibili che ci spingono su strade sempre più distruttive, facendo credere che più risorse si consumano e si distruggono con l’agricoltura intensiva, più si “salva” la Natura. Ma il cibo non è solamente una nostra necessità vitale, il cibo è alla base dell’essere… Non solo il cibo è sacro, non solo è vivo, ma è il Creatore stesso, ed è per questo che, anche nella più povera capanna indiana, troverai sempre che viene adorata la piccola stufa, la chuladi terra, il primo pezzo di chapati viene messo fuori per la vacca, il secondo pezzo è per il cane, e poi si cerca di sapere chi altro abbia fame nella propria casa…”.  Vandana Shiva.

https://navdanyainternational.org/it/

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mauriziozaccaro Mostra tutti

Regista e sceneggiatore italiano.
Italian film director and screenplayer.