“PERSONAL AREA”

Pensieri, scritti inediti, dei pitch, tante fotografie (ma anche la storia di quelle fotografie), disegni, tanti video (e la loro genesi) e quant’altro mi venga in mente purché originale. Ad esclusione dei materiali “ospiti” provenienti dalla rete, tutto il resto pubblicato su questa pagina è di proprietà esclusiva dell’autore nonché di questo sito e protetto da copyright internazionale © 2025
***
216. SCONFIGGERE I FRANCHISE O MORIRE

I franchise (affiliazione commerciale) cinematografici attingono spesso a diverse aree della cultura popolare, generalmente alla narrativa, soprattutto ai best seller, come ad esempio le opere di J. R. R. Tolkien della serie Il Signore degli Anelli, o quelle di J. K. Rowling della serie Harry Potter. I franchise cinematografici possono anche essere tratti dai fumetti (ad esempio, Batman o Spider-Man), dai videogiochi (come Resident Evil), o dalle serie televisive (come è accaduto per Star Trek). Non mancano i franchise cinematografici che non sono basati né su libri né su altri media, ma nascono direttamente dal successo inaspettato di una pellicola con una sceneggiatura originale: Scream, Halloween, Shrek. Altri esempi di franchise nel cinema sono Rocky, Indiana Jones, Pirati dei Caraibi, Jurassic Park, Avatar, Guerre stellari, Matrix, Hunger Games, Mad Max e Monsterverse. Le due formule principali adottate dal franchise cinematografico sono i serial e i sequel, che mantengono alta l’attenzione degli spettatori fino all’uscita nelle sale dell’episodio successivo
Questo tipo di film punta alla penetrazione nel mercato globale, usando un sistema di distribuzione su scala mondiale e programmando le uscite nelle sale dei diversi paesi in modo sempre più ravvicinato, poggiando su campagne di marketing planetarie che sfruttano la convergenza mediatica per ampliare i canali di promozione del film e del merchandising a esso correlato. Il processo di vendita del prodotto film diventa, così, più importante del processo produttivo che, nonostante i budget milionari, ha costi inferiori rispetto a quelli della fase di distribuzione e marketing, con la conseguenza di una maggiore attenzione agli aspetti legati alla vendita del prodotto che ai contenuti.
L’unico modo affinche’ il cinema libero e indipendente, in poche parole umano, possa sopravvivere è sconfiggere i franchise.
215. BELLISSIMA DEA – STORIA DI CLARA CALAMAI

POSTFAZIONE A “BELLISSIMA DEA – Storia di Clara Calamai”
Nonostante i ripetuti dinieghi, alla fine il critico cinematografico Francesco Savio (pseudonimo di Francesco Pavolini) riuscì ad incontrare Clara Calamai nel 1974 per un’intervista sul cinema degli anni ’30. “Una domanda preliminare che può essere anche l’ultima: perché lei ha concesso questa intervista con tanta difficoltà, perché lei è così restia a parlare della sua attività cinematografica?” le chiese il giornalista. La Calamai, candida come un giglio, gli rispose: “Io non è che sia restia a parlare della mia attività cinematografica ma siccome ormai sono fuori dall’ambiente da tanto di quel tempo penso che proprio sia inutile, ormai non sono più niente… “
Da questo scambio di battute è nata l’idea di “Bellissima Dea”: raccontare non solo la grande diva degli anni trenta/quaranta ma soprattutto la donna che, al massimo splendore della sua carriera, decise da un momento all’altro di scomparire per sempre dalle scene: la Calamai come Norma Desmond interpretata da Gloria Swanson nel film “Viale del tramonto” ( “Sunset Boulevard”, 1950) di Billy Wilder. Non è un accostamento impossibile, anzi. Come nel pluripremiato film americano dove Norma Desmond è un’attrice dell’ex cinema muto che si ritira a vivere in solitudine, anche Clara Calamai è una stella dell’ex cinema dei “telefoni bianchi“, filone nostrano che si spegne in coincidenza con la fine della seconda guerra mondiale.
Per scrivere questa storia ho preferito la strada della biografia romanzata affinché il risultato finale, pur mantenendo intatto rigore storico e oggettività documentata, assomigliasse più ad una sceneggiatura dove le licenze narrative e il coinvolgimento emotivo dei personaggi con i loro stati d’animo, pensieri e dialoghi sono al servizio di una drammaturgia dinamica, più visiva che letteraria. Così facendo mi sono trovato a dare spazio alla psicologia e alle motivazioni interiori dei personaggi, immaginandoli dove le fonti non arrivano.
“Non sono mai stata un’attrice, alle prove recitavo come un bambino di cinque anni. Ma quando si girava sul serio non ero più io: ero il personaggio. Al tempo stesso però non ho mai interpretato un personaggio che mi assomigliasse. Da questo punto di vista ero un’impulsiva e un’ingenua…” dice di se stessa Clara Calamai, eppure in tutti i film da lei interpretati questa ingenuità non si vede. E nemmeno l’impulsività. La recitazione di Clara è sempre calibrata, molto naturale e credibile, anche se i ruoli sono spesso quelli dell’amante, dell’adultera e della “femme fatale”.
Ci sono voluti più di due anni per completare questo libro ma devo dire che sono stati ben spesi, alternando la scrittura alla ricerca delle fonti, alla visione dei suoi innumerevoli film, almeno quelli che ancora si trovano (altri purtroppo sono considerati perduti come “L’adultera” – 1946 – di Duilio Coletti , “Pietro Micca” – 1938 – di Aldo Vergano, o difficilmente reperibili come “Amanti senza amore” – 1948 – di Gianni Franciolini ) e soprattutto agli incontri con chi Clara Calamai l’ha conosciuta e frequentata per motivi familiari o professionali.
Ora che questa straordinaria macchina del tempo si è fermata e il lavoro è compiuto posso dire che Clara mi mancherà parecchio. Restano queste pagine, è vero, resta la sua voce sottile nella mia memoria, il suo sguardo “orientale”, la sua eleganza “francese” e infine restano le sue parole, a volte allegre, altre velate da una malinconia insanabile: “L’ho sempre presa sbagliata questa vita mia. Ho sempre pensato che non si può essere felici, con il padre e la madre che devono morire, con tutti questi animali che devono essere uccisi, con tutto questo dolore che si vede nel mondo.”
Maurizio Zaccaro, ottobre 2025

214. NAZARENO STRAMPELLI – L’ARTE DEL GRANO

PROSSIMAMENTE

“NAZARENO STRAMPELLI – L’ARTE DEL GRANO”
L’Italia degli inizi del XX secolo é un paese prettamente agricolo e soprattutto nelle campagne la povertà devasta metà della popolazione. La penuria di cibo è causa delle più diffuse malattie del tempo fra le quali la pellagra. E la mancanza di cibo é la mancanza della principale risorsa del tempo, il grano. Per far fronte a questa devastante crisi l’Italia é costretta ad importarne consistenti quantità dall’estero compromettendo il già magro bilancio statale. Viene così indetto dal Governo un concorso per istituire a Rieti (dove già si produce un famoso grano, il Rieti originario appunto) una cattedra ambulante di granicoltura per studiare e incrementare la produzione cerealicola. Nel 1903 un giovane agronomo marchigiano vince il concorso e arriva nel capoluogo sabino armato dalle migliori intenzioni. Si chiama Nazareno Strampelli. Quella che raccontiamo in questo film documentario è la sua straordinaria quanto sconosciuta storia. Una vicenda dal sapore antico ma anche una metafora sull’oggi, sull’agricoltura moderna sempre più colpita dai fenomeni estremi del cambiamento climatico. L’approccio innovativo di Nazzareno Strampelli alla genetica agraria, ha portato infatti a significative migliorie nel campo della genetico del grano. Le sue tecniche, basate sull’ibridazione, hanno permesso di creare varietà di frumento ad alta produttività e resistenza alle malattie e soprattutto alla siccità.
213. PIER VITTORIO TONDELLI

“La mia letteratura è emotiva, le mie storie sono emotive; l’unico spazio che ha il testo per durare è quello emozionale. … Dopo due righe, il lettore deve essere schiavizzato, incapace di liberarsi dalla pagina; deve trovarsi coinvolto fino al parossismo, deve sudare e prendere cazzotti, e ridere, e guaire, e provare estremo godimento. Questa è letteratura.” P.V.T.
212. OH WILDE SIDE, WILDE SIDE…
211. JAWS

50 anni fa esatti usciva nelle sale di tutto il mondo JAWS. Le riprese ebbero inizio nel maggio del 1974 nell’isola di Martha’s Vineyard perché in quel tratto d’oceano il fondo sabbioso è a soli 9 metri di profondità. Una caratteristica che consentiva un’agevole manovra degli squali meccanici. Tuttavia le riprese del film fecero aumentare il budget da 4 milioni di dollari a 9 milioni perché al posto dei preventivati 55 giorni di lavorazione, Spielberg ne fece ben 159. Parlando di questo enorme ritardo, spielberg disse: “Pensavo che la mia carriera nel mondo del cinema fosse finita. Sentivo voci, dicevano che non avrei mai più lavorato in quanto nessuno aveva mai sforato i tempi di ripresa di 100 giorni“. Scontenti, gli operatori diedero al film il nomignolo Difetti (Flaws in inglese, gioco di parole con il titolo originale, Jaws)

210. PABLO NERUDA, poeta cileno

Pablo Neruda (1904 -1973) in un ritratto di Renato Guttuso
***
Un giorno moriremo entrambi,
l’uno lontano dall’altra,
e nessuno si ricorderà più di noi.
Nessuno.
Nessuno si ricorderà
del nostro tempo insieme,
così breve, così eternamente breve,
da sembrare una vita.
Un giorno, non ci saremo più,
e chi si ricorderà di noi?
dei nostri primi giorni,
di te, di com’eri fragile e bianca,
e di me, che non parlarne è meglio?
Nessuno.
Un giorno, questo è certo,
non ci saremo più,
e chi potrà ricordarsi
del nostro piccolo mondo insieme?
così caldo, eppure così freddo,
così leggero, eppure così difficile
da levarsi di dosso?
Nessuno.
Solo io e te, ora, possiamo ricordare,
dopo di noi, nessuno. E sarà
come se non fossimo mai stati.
209. CARMELO BENE E IL CINEMA
Carmelo Bene (1937 -2002), attore, regista, drammaturgo, scrittore e poeta italiano, parla a ruota libera di cinema nella bella intervista di Sandro Veronesi.
«C’è gente convinta di fare il cinema perché fa dei film; io non faccio del cinema per fare dei film, questo è importante»
208. SILENCED VOICES: THE HOLLYWOOD TEN

Visti i tempi in cui viviamo SILENCED VOICES non è solo un bel documentario realizzato da David Helpern nel 1976 (con la voce narrante di John Huston) ma anche un’autentica lezione di storia e un monito a vigilare affinché le dittature, come sempre succede, non cancellino la libertà d’espressione.
Tra gli anni Quaranta e i Cinquanta, Hollywood fu scossa dal terrore: era la caccia ai comunisti. Un sistema pronto a negare diritti fondamentali a chiunque fosse sospettato di simpatizzare per l’ideologia sovietica.
207. WAR CRIMES

“Un crimine di guerra è una violazione delle leggi e consuetudini di guerra che rende gli individui responsabili penalmente delle loro azioni. Questi crimini sono estremamente gravi e includono atti come il massacro di civili o prigionieri di guerra, la tortura, l’uso di armi proibite, e la distruzione di proprietà civili non necessarie.”
206. JADWIGA JANKOWSKA – CIEŚLAK

Ricordando Jadwiga Jankowska-Cieślak (nata a Danzica il 15 febbraio 1951, scomparsa a Varsavia il 15 aprile 2025). Forse in Italia la conoscevano in pochi ma è stata una delle più grandi e talentuose attrici polacche del nostro tempo, Palma d’Oro a Cannes come miglior attrice protagonista con il film “Un altro sguardo” di Karoly Makk (1982). Eravamo in contatto per un bel progetto da girare insieme ma purtroppo il destino ha disposto diversamente.
205. I PREGIUDICATI IN SERIE A

Che risultati può ottenere una gloriosa squadra di calcio quando ha al suo vertice dei pregiudicati?
204. JORGE MARIO BERGOGLIO (1936 -2025)

“Del Mediterraneo ho parlato tante volte, perché sono Vescovo di Roma e perché è emblematico: il Mare Nostrum, luogo di comunicazione fra popoli e civiltà, è diventato un cimitero. E la tragedia è che molti migranti, la maggior parte di questi morti, potevano essere salvati.” agosto 2024
203. THE HOUSE OF DORITY

“Sempre meglio essere un’ottima versione di se stessi, invece di una seconda versione di qualcun altro.” Judi Garland

L’Istituto Svizzero inaugura il suo programma a Milano con The House of Dorothy, la prima mostra personale in Italia dell’artista Vincent Grange (nato a Ginevra nel 1997, vive e lavora a Ginevra). Grange presenta un’installazione architettonica progettata per gli spazi dell’Istituto Svizzero.
Il titolo del progetto prende spunto dall’espressione “friends of Dorothy”, un codice utilizzato dalla comunità gay – e successivamente LGBTQIA+ – negli Stati Uniti a partire dagli anni Cinquanta per riconoscersi, sfuggendo alla persecuzione dell’omosessualità. La definizione era così diffusa che negli anni Ottanta il Naval Investigative Service fece partire una lunga quanto inutile indagine per trovare Dorothy, nella convinzione che fosse una persona realmente esistente.
202. L’INQUADRATURA

A chi frequenta i miei workshop dico sempre che il problema non è girare un film (cosa che tecnicamente possono fare anche i bambini) ma saper raccontare una storia attraverso delle inquadrature di una macchina da presa, ovvero con immagini confinate in un quadro. E’ lì che la vita si mette in scena e si compone senza alcun bisogno d’essere diretta, soprattutto manipolata, o peggio, falsificata.
201. KRYSZTOF KIEŚLOWSKI

“Una cosa è certa, ad essere sinceri: non so filma-re i panorami, voglio dire che quando mi capita di farlo mi trovo a disagio. In senso più generale, ciò dipende dall’interesse sempre maggiore che ripongo nell’intimità dell’uomo e non sull’esterno. E quanto più mi attira l’intimo, tanto più mi avvicino, è ovvio. Mi devo fare sempre più sotto perché ciò che mi interessa è negli occhi, nella bocca, nella smorfia, nella parola. Si trova in tutto quello che è dannatamente intimo. E anche per questo motivo che ho abbandonato il documentario. Non mi consentiva di filmare l’intimità. L’intimità è quel qualcosa che l’uomo vuole occultare, e dunque la macchina da presa è sfrontata, usurpatrice, villana a volere entrarvi. Una cosa che non si deve fare, bisogna dar modo all’uomo di celare nell’intimità quel che ritiene giusto. Il film di finzione invece non comporta certe limitazioni e difficoltà. Come ho già detto, conta ciò che l’uomo sente e pensa veramente e non quello che racconta fuori o i1 suo comportamento con gli altri. Quindi mi avvicino a lui sempre di più anche mediante la macchina da presa. La macchina si fa sempre più sotto ed io piazzo obiettivi sempre più lunghi o piuttosto mi avvicino. E mi avvicinerei ancora di più se disponessi di buoni microfoni e di una macchina da presa più silenziosa, ma invece questa fa rumore… Non si può registrare un suono pieno, ed è questo a limitarmi rispetto alla lunghezza di campo. Non mi piacciono gli obiettivi lunghi, troppo statici, ma con quelli corti non posso avvicinarmi più di tanto per non far venire sul nastro il rumore della macchina. Perché macchina e microfono sono deteriori. “
Krzysztof Kieślowski (Varsavia, 27 giugno 1941 – Varsavia, 13 marzo 1996) regista, sceneggiatore, scrittore e documentarista polacco.
200. ISTVÀN SZABÓ
“Il cinema creato dall’Europa era più potente qualche anno fa. Negli anni Sessanta era come l’Himalaya, più tardi negli anni Settanta e Ottanta era abbastanza importante. Però adesso, esattamente come in politica, il mercato è cambiato. Il mercato è influenzato da cose diverse, i film americani – e non parlo ora della qualità perché personalmente amo enormemente alcuni film americani – parlano solo di vincitori. Anche se muoiono, i loro protagonisti sono vincitori morali. I film europei, a causa delle nostre esperienze, delle esperienze personali dei cineasti e delle loro famiglie, parlano sempre di perdenti, che perdono la guerra, perdono le rivoluzioni, perdono nelle questioni sociali, perdono il lavoro. Per esempio uno dei film più belli della storia del cinema è stato Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. È un film che parla di perdenti. Un altro suo grande film, Umberto D., parla di qualcuno che sta perdendo il lavoro e la vita. Potrei continuare con gli esempi, film di Rossellini e Antonioni, anche film francesi, tedeschi, polacchi, cechi. Perdenti, perdenti, perdenti nelle strade d’Europa. Ma visto che il pubblico giovane non vuole vedere storie di perdenti, ma di vincitori, il cinema americano ha più successo. Questo è tutto, ma noi non possiamo fare cose diverse o vivere diversamente solo per raccontare cose diverse.”
István Szabó, regista e sceneggiatore ungherese vivente, premio Oscar miglior film straniero per “Mephisto” (1981)
199. CONSIGLIO DEI MINISTRI
Irriverenti e caotici ma al tempo stesso sublimi nelle loro fulminanti battute, con i loro pochi film i Marx Brothers hanno rivoltato come un calzino la paludata Hollywood della loro epoca. Con una satira altamente corrosiva basata su situzioni assurde e irrazionali Groucho, Chico, Harpo e Zeppo non solo hanno hanno rivoluzionato il cinema comico ma hanno ispirato nel tempo artisti, sceneggiatori e registi come Woody Allen e Federico Fellini.
198. IL POTERE

Parole di ieri adatte ai tempi che stiamo vivendo per raccontare IL POTERE, ovunque esso sia e chiunque lo detenga:
“Ufficiali della milizia senza un’ombra di scienza militare; ufficiali navali senza alcuna idea d’una nave, ufficiali civili senza alcuna nozione degli affari; ecclesiastici dalla faccia di bronzo, della peggiore mondanità terrena, dagli occhi sensuali, dalla lingua licenziosa e dalla vita ancora più licenziosa; tutti assolutamente incapaci nelle loro varie professioni, e tutti perfidamente menzogneri nel dir di conoscerle.”
Charles Dickens
197. CON HITCHCOCK SUL SET DI PSYCO
La location originale, costruita solo su due facciate esterne, può essere visitata ancora oggi all’interno degli Universal Studios di Hollywood. A partire dal 1995 il Bates Motel venne spogliato delle aggiunte per essere proposto al pubblico nella sua versione originale. Spostato in diversi punti degli Studios per assecondare le nuove entrate nel parco, grazie a una protesta degli appassionati di Psyco il set è tornato nella posizione di partenza solo nel 2003.

196: JAMES ELLROY

“Credo che se uno scrittore vende i diritti di un romanzo a un produttore cinematografico, a quel punto deve tenere la bocca chiusa se poi il film realizzato è una gran cazzata.”
James Ellroy
195. LUC DARDENNE

“Fare delle immagini con la penellessa non con il pennello. La cosa da mostrare è ispida, piena di asperità. Stessa indelicatezza con il suono.”
194. JEAN PURDY
A volte sulle piattaforme ci si può imbattere in film poco conosciuti ma non per questo scadenti. E’ il caso di JOY (2024) che racconta la storia vera di Jean Purdy, infermiera ed embriologa che, dal 1968 al 1978, lavorò e contribuì alla nascita della prima “bambina in provetta”. Forse il personaggio di Jean meritava più profondità e introspezione, forse i dialoghi sono troppo superficiali, forse la storia scorre un po’ troppo velocemente…forse. Ma JOY è comunque un film da vedere non solo perchè tratta una vicenda importante ma perché è un film piacevole, umile e rispettoso degli eventi narrati, girato con onestà (e micro budget) da Ben Taylor.
193. VINCENT LINDON

“Una vita senza cinema, senza pittura, senza musica, non sarebbe una vita, il mondo sarebbe davvero drammatico. Questo perché ci possono prendere e portare via tutto, ma non il sogno, non la capacità che abbiamo di sognare, di fantasticare, di provare piacere per qualcosa. Ciò non ci può essere sottratto. Ci possono togliere la libertà, i soldi, il lavoro, la vita stessa, ma non ci possono impedire di pensare. E anche rinchiusi in una piccola cella riusciamo comunque ad addormentarci e a sognare e immaginare. Il cinema è uno strumento straordinario per alimentare questi desideri, queste voglie, queste fantasie e questi pensieri, e per darci la forza di cambiare. “
Vincent Lindon (Boulogne-Billancourt, 15 luglio 1959), attore francese.
192. ROBERT BRESSON

“Il film non contenga una sola inquadratura inutile, non un’inquadratura che si possa spostare o raccorciare; in breve… il contrario di un film ‘fatto al tavolo di montaggio”.
Robert Bresson (1901 -1999), “Notes sur le cinématographe”, Paris, Gallimard, 1975
191. FEBO

Questo è Febo, nato il 1 agosto 2024. Un nuovo insostituibile compagno di vita dopo Puck.
190. IN BLACKWATER WOODS

Look, the trees are turning their own bodies into pillars of light,
are giving off the rich fragrance of cinnamon and fulfillment, the long tapers of cattails are bursting and floating away over the blue shoulders of the ponds, and every pond, no matter what its name is, is nameless now.
Every year everything I have ever learned in my lifetime leads back to this: the fires and the black river of loss whose other side is salvation, whose meaning none of us will ever know.
To live in this world you must be able to do three things: to love what is mortal; to hold it against your bones knowing your own life depends on it;
and, when the time comes to let it go, to let it go.
________
Guarda, gli alberi stanno volgendo i loro corpi in colonne di luce, stanno emanando la ricca fragranza di cinnamomo e appagamento, i lunghi assottigliamenti di canna si stanno strappando e stanno volando via, sopra le spalle celesti degli stagni, e ogni laghetto, non importa quale sia Il suo nome, diventa ora anonimo.
Ogni anno tutto quel che ho imparato nella mia vita mi riporta a questo: i fuochi e la riva nera della perdita della quale l’altra faccia è la salvezza,
il cui significato nessuno di noi conoscerà mai.
Per vivere in questo mondo devi essere abile a fare tre cose: amare ciò che è mortale; stringerlo contro le tue ossa sapendo che la tua vita ne dipende;
e, quando è tempo, lasciarlo andare. Lasciarlo andare.
da “American Primitive” (1983)
MARY OLIVER (1935 – 2019), poetessa statunitense.
189. VASILIJ GROSSMAN

«In quest’epoca tremenda, un’epoca di follie commesse nel nome della gloria di Stati e nazioni o del bene universale, e in cui gli uomini non sembrano più uomini ma fremono come rami d’albero e sono come la pietra che frana e trascina con sé le altre pietre riempiendo fosse e burroni, in quest’epoca di terrore e di follia insensata, la bontà spicciola, granello radioattivo sbriciolato nella vita, non è scomparsa»
da “Vita e Destino” (1959) di V. Grossman (1905 – 1964)
188. “RABBITS” – DAVID LYNCH
A cominciare dalla logline del progetto: «In una città senza nome, bagnata da una pioggia incessante, tre conigli convivono con un terribile mistero.» tutto quello che segue è uno dei capolavori più deliranti ma anche geniali di David Lynch (1946 – 2025) dove il regista si prende gioco del genere televisivo delle sitcom e della medio borghesia americana facendo recitare ai suoi bizzarri personaggi antropomorfi discorsi vuoti e privi di senso. Rabbits (Conigli) è una serie di 8 cortometraggi della durata di circa 6 minuti ciascuno.
187. ENRICO MARIA SALERNO

“Per qualche insondabile mistero hanno chiesto di interpretare don Orione, proprio a me. Che sono un mangiapreti. Che ho alle spalle quarant’anni di onorata depravazione.” Enrico Maria Salerno (1990)
186. JOHN FORD

“Niente mi disgusta di più dello snobismo, del manierismo, dei tecnicismi e – soprattutto – degli intellettuali.” J.FORD
185. DI NOTTE

Li rivedo tutti. Sono loro, i “ragazzi” che sono stati al mio fianco per tanti anni.
Ogni notte ne arriva uno. Resta per un po’. Il tempo di una parola. Di un sorriso.
Poi scompare. Ma so che c’è. Da qualche parte c’è.
E tornerà.
184. LE 13 REGOLE

Michael Moore, noto regista e sceneggiatore statunitense, autore di “Bowling a Columbine” (Oscar come miglior documentario, 2002) e “Fahrenheit 9/11” (Palma d’oro al Festival di Cannes, 2004) ha stilato una lista di 13 regole per scrivere un documentario di successo:
- fai un film, non un documentario. Secondo Moore le persone cercano l’intrattenimento e quindi il prodotto che bisogna proporgli deve essere concepito come un film;
- non raccontarmi quello che già so. Qualsiasi sia il tema del documentario, deve arricchire lo spettatore con storie, immagini e informazioni nuove;
- non propormi una lezione universitaria. Il documentario è comunque un prodotto per l’intrattenimento e in quanto tale deve partire necessariamente da una base di creatività;
- il documentario non deve essere come una medicina. Il pubblico cerca qualcosa di interessante e coinvolgente, non un video noioso da buttare giù a forza;
- essere di sinistra non significa essere noiosi. Trattare temi politicamente scorretti non implica necessariamente l’assenza di ironia;
- fai i nomi. Se si hanno responsabili da nominare è giusto farlo, aiuta il pubblico a comprendere meglio;
- dai un tocco personale al tuo film. Non significa (solo) comparire nel documentario, mettersi davanti alla telecamera, ma dargli una voce personale, con riflessioni e pensieri propri;
- focalizza le tue telecamere sulle altre telecamere. Perché i media tradizionali non trattano l’argomento del tuo documentario? Spiegalo al pubblico, te ne sarà grato;
- il pubblico vuole la verità e vuole essere intrattenuto. I libri e i programmi tv diversi dalle fiction sono molto seguiti dal pubblico: perché non dare lo stesso prodotto anche con un documentario?
- per quanto possibile, riprendi le persone che non sono d’accordo con te. Un prodotto autoreferenziale non è utile e inoltre dalle testimonianze di chi la pensa diversamente possono uscire dettagli importanti;
- fai attenzione in prima persona a ciò che vedi mentre riprendi. Le reazioni che avrai girando il tuo documentario potrebbero essere le stesse che avrà il pubblico vedendolo;
- “less is more”, meno è meglio. Dillo con meno parole, meno scene. Taglia. Rendi tutto più breve;
- il suono è più importante dell’immagine. Il pubblico non resterà deluso se alcune immagini non saranno perfette, ma solo se saranno supportate da altro, come ad esempio la colonna sonora.
183. LOST HIGHWAY – (STRADE PERDUTE)

Oggi che tutti parlano di David Lynch, spesso senza sapere quello che dicono, voglio ricordare uno dei suoi film più riusciti ma anche sottovalutato, addirittura massacrato ignobilmente dai critici: Strade perdute. Opera grandiosa ed emblematica sulla dimensione irrazionale che domina le nostre vite. Cercatelo in streaming.
182. I TRE LIVELLI

In questa piazzetta dedicata al poeta Nino Pedretti una volta c’era la fontana realizzata dall’artista Marco Bravura su un’idea di Tonino Guerra. Sul muro di fronte c’era anche una scritta realizzata da un altro, ignoto artista. E c’era anche una signora che, come in una performace concettuale di Marina Abramović, contemplava l’una e l’altra.
181. SYDNEY GREENSTREET

The lens is the actor’s best critic… showing his mind more clearly than on the stage. You can get wonderful cooperation out of the lens if you are true, but God help you if you are not.
(L’obiettivo è il miglior critico dell’attore… mostra la sua mente più chiaramente che sul palcoscenico. Si può ottenere una meravigliosa collaborazione dall’obiettivo se si è sinceri, ma che Dio ci aiuti se non lo si è.)
Sydney Greenstreet ( 1879 – 1954)
180. ROGER PRATT- D.O.P.

Roger Pratt è stato uno dei più grandi, innovativi talenti della cinematografia mondiale. Scomparso prematuramente il 31 dicembre 2024 viene ricordato per il suo lavoro in “Batman” di Tim Burton, “Harry Potter e la Camera dei Segreti” e “Harry Potter e il Calice di Fuoco.” Eppure fra i suoi innumerevoli film ci sono anche capolavori come “Brasil” e “Fine di una storia” che gli valse la candidatura all’Oscar per la miglior fotografia. Nel 2011, dopo che gli era stata dignosticata una grave forma di Alzheimer precoce, si era ritirato nella sua casa di Leicester dove era nato nel 1947.
179. BIX BEIDERBECKE

A Davenport, Iowa, c’è questo imponente murale che ricorda il suo cittadino più illustre, il trombettista e compositore Leon Bix Beiderbecke (1903 – 1931). Nella sua casa natale, al civico 1934 di Grand Avenue, e nel cimitero di Oakdale, dove è sepolto, sono state girate alcune scene di “Dove comincia la notte” (1990).
178. HRISTO ZIVKOV

Hristo Zivkov se n’è andato troppo presto, il 31 marzo 1923, in un ospedale di Los Angeles dopo aver perso la battaglia contro il tumore che gli aveva devastato i polmoni. Non era solo un bravissimo attore ma anche un prezioso complice. “Essere su questo set è un grande onore, credimi.” disse mentre stavamo girando una scena di “Mafalda di Savoia” in Romania. Ma l’onore non era suo, bensì mio.
177. ROBERTO ROSSELLINI E SALVADOR ALLENDE (1971)
“Nel 1971 Salvador Allende aveva invitato personalità da tutte le parti del mondo perché si recassero a Santiago a vedere e toccare con mano l’autentica realtà cilena e il tentativo democratico di sviluppo socialista in Cile. Mio figlio Renzo, in quell’occasione, andò laggiù e io lo pregai di farsi latore di una mia preghiera: avrei amato incontrare Allende e avere un’intervista con lui. Allende mi fece sapere che sarebbe stato lieto di incontrarmi e così i primi di maggio andai in Cile.
Io personalmente non credo affatto alle tesi del suicidio di Allende perché egli era uomo troppo cosciente dei suoi doveri e delle speranze che erano riposte in lui. Egli sapeva benissimo – io ne sono convinto – che per poter arrivare all’affermazione delle proprie idee bisogna spingersi a tutti gli estremi dell’eroismo, compresa la morte violenta”.
Roberto Rossellini
“La Rai comprò l’intervista, ma non la mandò in onda. Lo fece solo dopo l’11 settembre del ’73, anno del golpe militare, quando ormai Allende era morto e la dittatura di Pinochet si era installata. Le sue parole a quel punto non servivano più a niente perché la dittatura aveva distrutto tutta l’opposizione del paese.”
Renzo Rossellini

176. ARISTOCRAZIA ROMANA

“Dina Karren ha già capito che a Roma, come in Russia, e a differenza della Francia, l’aristocrazia controlla ancora tutto. Editoria, imprenditoria, edilizia e spettacolo…”
Da “Silenzio” di Melania G. Mazzucco
175. MAYA DEREN
Maya Deren (1917 – 1961 ) Regista cinematografica statunitense.
Fino ad oggi, i saggi di Maya Deren sull’arte e il mestiere del regista non erano disponibili in un volume esaustivo, adatto a studenti, appassionati di cinema e studiosi. Essential Deren: Collected Writings on Film contiene tutti i saggi della Deren sui suoi film, oltre a saggi più generali sulla teoria cinematografica, sul rapporto tra cinema e danza, su vari aspetti tecnici della produzione cinematografica, sulla distinzione tra cinema amatoriale e professionale e sul famoso chapbook del 1946 intitolato “An Anagram of Ideas on Art, Form and Film”.

Ci sono articoli difficili da trovare scritti per riviste e giornali d’arte, oltre a conferenze, sessioni di domande e risposte, note di programma e manifesti. L’importanza dei film e degli scritti di Maya Deren è ulteriormente dimostrata dal fatto che l’American Film Institute ha dedicato il suo più alto premio per la cinematografia indipendente a “Maya Deren”.
174. CARLO BERNARDINI

“Oggi, quando ormai quello che potevo fare l’ho fatto, e mi avvio alla conclusione generale, ho un passato da raccontare, e questo è il passato di un fisico normale che molti potranno giudicare mediocre, o comunque non geniale, come ce ne sono tanti. Eppure, qualche diritto a fare la storia lo abbiamo, nel senso che, specie vivendo in un mondo che adora i geni come usava con i semidei, i comuni mortali hanno talvolta coscienza dei loro limiti e, perciò, bisogno di consolazione. La fisica a volte progredisce con i bagliori delle grandi idee, ma anche con la moltitudine delle fiammelle di ideuzze, che non danno gloria ma rischiarano il panorama. “
Così scriveva Carlo Bernardini ( 1930 – 2018), scienziato “normale” e protagonista della fisica italiana degli anni fra il 1950 e il ’60.
173. TITO BALESTRA

Un segno sull’atlante
Una riga che corre dal mare al Po
l’Emilia strada di contadini
chilometri d’asfalto al sole
automobili e case, elettrauto e galline,
filari di ciliegi, ruote di bicicletta
un treno che vi insegue
aria che sa di mare…
“La via Emilia”
da: “Se hai una montagna di neve tienila all’ombra” di Tito Balestra (1974)
172. “FAV E GLI ALTRI” – IL GIORNO DOPO

All’emozione impagabile di ben due sale in contemporanea gremite di pubblico per la prima nazionale di ‘ Fav e gli altri’ si aggiunge l’emozione per i magnifici commenti del giorno dopo. Ne abbiamo scelto uno:
“Buongiorno, volevo ringraziarvi tutti per le belle emozioni che ci avete fatto provare ieri sera all’anteprima di “Fav e gli altri”! Un film che, pure se realizzato con pochi mezzi, ha saputo rendere il dramma interiore che vivono molti ragazzi che scoprono di avere un talento ma non sanno come farlo prevalere sulla voce di chi li vorrebbe relegare a una vita di quieta disperazione. Zaccaro ha avuto molto coraggio nel proporre un tema che non è affatto scontato e nel dare una lettura così intima al dissidio interiore di Fav. Alcune scene mi hanno commosso fino alle lacrime e ci sono momenti di grande cinema. Penso per esempio alla sovrapposizione di volti sul volto di Fav, nel momento più drammatico del film. Bello, intenso e coinvolgente! Merito anche della freschezza di attori giovani ma già capaci di intensità narrativa. E del loro mentore, Samuele, che, come nel film, dà un’occasione di espressione al loro talento! La sua interpretazione ha restituito alla storia un’emozione che solo i grandi attori riescono a far provare!
Scusate se mi sono dilungata, ma penso che sia bello anche condividere e avere un riscontro da chi ha assistito alla proiezione e vi ha potuto apprezzare anche in tutti i momenti della realizzazione del film, seppure da lontano. Sono molto contenta che mia figlia abbia potuto fare un’esperienza così formativa con voi!
Essendo io un’insegnante vi chiedo anche se posso fare qualcosa per favorire la visibilità del film presso le scuole della provincia di Rimini, dal momento che all’inizio della proiezione è stato detto che il film verrà proposto nelle scuole superiori di Bergamo e Brescia. Aurora e Alan sono studenti rispettivamente di Scienze Umane (Rimini) e dell’Istituto d’Arte di Riccione. Penso che sarebbe possibile promuovere il film nelle loro scuole e, se aveste intenzione di proporlo, non avrò difficoltà ad aiutarvi a portare a termine questo progetto. Vi lascio con un applauso pieno di ammirazione 🙏🏻💪❤️ M. M.”
171. “FAV E GLI ALTRI” – PROGETTO SPERIMENTALE PER I GIOVANI DI SANTARCANGELO DI ROMAGNA – 2024
“…e se il cinema è libero ma libero veramente
mi piace ancor di più perchè libera la mente…“
parafrasando una vecchia canzone di Eugenio Finardi : “LA RADIO”

Il potere non ama i giovani anzi li odia quando si baciano alla luce del sole stesi sull’erba di un prato. Il potere li detesta, li disprezza, li invidia e li reprime ma non potrà mai fermarli perché i giovani non gli appartengono. I giovani sono altrove, sono un lampo nella notte.
La realizzazione di “Fav e gli altri “ha avuto luogo interamente a Santarcangelo di Romagna da ottobre 2023 a ottobre 2024. Un anno esatto durante il quale i ragazzi che hanno frequentato il nostro corso di sceneggiatura e regia sono stati ad una vera e propria bottega artigianale per capire, oltre alla tecnica necessaria, anche come sia possibile adattare un’idea in un film che dura più di ottanta minuti a costo zero (sono stati spesi in tutto meno di 5000 euro), quindi in modo totalmente indipendente. Questo è stato fin dall’inizio il nostro obiettivo e quello che avevamo promesso ai ragazzi. Siamo stati di parola, ma tutto ciò non sarebbe mai stato possibile senza l’apporto e l’incrollabile fiducia dei nostri giovani per un progetto tutt’altro che facile, le cui possibilità di riuscita non erano per niente scontate.
Ora “Fav e gli altri” esiste ed è nelle mani di questi giovani e giovanissimi aspiranti registi (alcuni avevano solo 17 anni). Sarà il loro biglietto da visita o, quantomeno, un passaggio importante sul loro curriculum. Al di là del valore estetico e narrativo del progetto, ne siamo orgogliosi: questa dovrebbe essere una “scuola non scuola” di cinema, soprattutto quando si colloca ben lontano da Roma.
ANTEMPRIMA NAZIONALE 11 DICEMBRE 2024 ORE 18 – 5° ITALIAN FILM FEST I LUOGHI DELL’ANIMA.

170. CHRISTOPHER NOLAN : LA SOGGETTIVITA’ DEL CINEMA

“I film sono soggettivi, quello che ti piace, quello che non ti piace. Ma la cosa per me che è assolutamente unificante è che quando vado al cinema e pago e mi siedo a guardare un film, voglio sentire che le persone che hanno fatto il film pensino che sia il miglior film del mondo, che hanno riversato tutto in esso e che realmente lo amano. Anche se io non sono d’accordo con quello che hanno fatto, voglio sentire la sincerità. E quando non lo sento, mi sento come se stessi sprecando il mio tempo”.
Christopher Nolan
169. SCENDERE AL LIVELLO DELLA TV

“Io amo sempre dire che se un produttore mi offrisse cento, duecento milioni per fare un film molto difficile, a livello intellettualmente alto, e quindi aprioristicamente adatto a qualche migliaio di spettatori e non più, non lo farei. A queste poche migliaia di persone mi rivolgo attraverso altri strumenti di comunicazione: una telefonata, una conversazione, una lettera, un libro di poesie, un saggio. Invece io quando faccio un film tengo presente il pubblico normale: non però, sia ben chiaro,abbassando il livello intellettuale del film oppure adattandomi ad una qualsiasi forma di volgarizzazione, ma ne tengo conto come una regola fondamentale. La presenza degli spettatori medi in un film è una regola stilistica, così come un attacco di montaggio, un movimento di macchina, un obiettivo. Cioè, in una parola, il pubblico fa parte dello stile del film. Chiarito questo non mi pongo il problema della facilità o della difficoltà: il mio problema è puramente espressivo, il canone che io tengo presente è quello del bello e del brutto, e non quello del facile e del difficile, utile o inutile. E sempre tenendo conto che una delle regole di questo canone è la presenza del pubblico. Devo aggiungere che io ho una grande stima del pubblico e non mi riesce di considerarlo come un inferiore, verso cui devo abbassarmi. Detesto qualsiasi forma di pedagogia paternalistica. Io parlo con tutta la buona volontà de farmi capire, se poi non sono capito tanto peggio per me, o per chi non mi capisce.
D’altra parte non ho possibilità di scelte perché non posso mettermi in competizione con la TV, ne con l’enorme massa di produzioni cinematografiche commerciali. Esse hanno abituato il pubblico a l’idea convenzionale di ciò che è un film, o i pochi autori cinematografici possono disabituare il pubblico a questa idea soltanto facendo dei film sinceri, e non delle opere che scendano in qualche modo a competere con l’dea sbagliata che il pubblico ha dei film.
Mi hanno detto che al cinema Barberini l’altra sera la gente ribolliva, protestava contro il film “Mouchette” di Bresson e la frase che ricorreva in ogni bocca era – “Ma che film è questo?” – il che significa che il pubblico ha nella testa una idea convenzionale dei film e si spazientisce appena questa idea convenzionale è incrinata.”
P.P. PASOLINI
168. BARRY LYNDON

“Fu durante il regno di Giorgio III che i suddetti personaggi vissero e disputarono. Buoni o cattivi, belli o brutti, ricchi o poveri, ora sono tutti uguali.”
167. PRODUTTORI INSOLVENTI
“La televisione è una trappola mortale, se ci entri poi non ne esci più.” Mi disse un giorno un regista molto più anziano di me. “Hai ragione… – risposi – ma come si fa a non farla visto che nel cinema perfino farsi pagare diventa un’impresa? Quante volte mi sono sentito dire da certi “produttori”: “Abbiamo finito i soldi, mi dispiace…” oppure “Guarda, sotto il balcone c’è la mia Harley, queste sono le chiavi, prendila e siamo pari…” Io, che al massimo in gioventù sono salito solo su una bicicletta.”
166. ANG LEE e INGMAR BERGMAN

“Nel tempo che abbiamo trascorso insieme sulla sua isola, Bergman mi ha chiesto soprattutto come lavoravo con gli attori. E gli ho detto: A volte mi odio perché li sbrano per vedere me stesso. Li sbrano, li uccido per esporre ciò che c’è sotto – è così che mi sento riguardo al mio rapporto con gli attori. Bergman ha detto: “Devi amare i tuoi attori”.
Ingmar era una persona molto calda e gentile. Mi ha dato un abbraccio molto materno che mi ha dato un potere strano, miracoloso, magico. Non penso mai che il modo in cui faccio film abbia qualcosa a che fare con il suo; lui è come Dio per me. Mi ispirerò. Non oserò imitarlo. Ma un abbraccio è un abbraccio, da cineasta a cineasta.”
Ang Lee, regista taiwanese, vincitore di due premi Oscar
165. LA TIRANNIDE

“TIRANNO, era il nome con cui i Greci (quei veri uomini) chiamavano coloro che appelliamo noi re. E quanti, o per forza, o per frode, o per volontà pur anche del popolo o dei grandi, otteneano le redini assolute del governo, e maggiori credeansi ed erano delle leggi, tutti indistintamente a vicenda o re o tiranni venivano appellati dagli antichi. Divenne un tal nome, coll’andar del tempo, esecrabile; e tale necessariamente farsi dovea. Quindi ai tempi nostri, quei principi stessi che la tirannide esercitano, gravemente pure si offendono di essere nominati tiranni ….Tra le moderne nazioni non si dà dunque il titolo di tiranno, se non se (sommessamente e tremando) a quei soli principi, che tolgono senza formalità nessuna ai lor sudditi le vite, gli averi, e l’onore…
…Tirannide indistintamente appellare si deve ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto eluderle, con sicurezza d’impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono o tristo, uno, o molti; ad ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammetta, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo”
VITTORIO ALFIERI, tratto da Della Tirannide
164. UNA LETTERA NATALIZIA DI LUCHINO VISCONTI A UN PRODUTTORE

Caro Amico,
ho perduto da un pezzo l’abitudine di mandare lettere natalizie; se lo faccio quest’anno è perché si stanno per decidere le sorti del cinema italiano, si discutono leggi che lo riguardano, e penso che questo è un Natale particolare per la nostra industria cinematografica.
Negli anni passati i criteri che guidavano la sua attività erano, ne convenga, di carattere piuttosto commerciale che artistico. Salvo poche eccezioni. Di qui le lotte continue tra produttori da una parte e registi e critici dall’altra; oppure tra registi cari ai produttori e critici. Lei affermava di conoscere a menadito la psicologia e i gusti del pubblico, i suoi oppositori di ritenere che il pubblico accetta quello che gli si dà. La polemica, che sembrava dovesse finire con la guerra, si è invece riaccesa più attuale che mai.
I film sono pressapoco quelli di prima, la critica li condanna e il pubblico è disorientato: non è tanto maturo da seguire la critica, ma non è nemmeno abbastanza maturo da disprezzare i vostri criteri.
Ora, che cosa si intende per pubblico? Un insieme di persone di varie classi sociali di varia intelligenza, di varia cultura, di temperamento e gusti diversi. Tra costoro vi è chi preferisce il film diciamo tipo francese, ma vi è chi preferisce la commedia americana; chi preferisce il film giallo e chi, perché no?, il film documentario; chi preferisce i film fantastici e i cartoni animati e chi i film realistici. Insomma, per quanto le vostre tabelle diano i dati del consenso che il pubblico dà a una pellicola, credo che sia difficile stabilire quante persone, tra quel pubblico, rimangono insoddisfatte. Nel caso di altre arti, la letteratura, per esempio, che cosa avviene?
Uno entra dal libraio, sfoglia due o tre libri e compera quello che gli va più a genio. Ma che cosa succederebbe se, tra quei libri, nessuno gli andasse a genio? Che quel disgraziato non potrebbe mai leggere, sarebbe ridotto all’eterna meditazione. Cosa molto triste, a giudicare da come muoiono gli eremiti.
Avviene lo stesso nel nostro campo. Tutti coloro che pagano il biglietto hanno uguale diritto di essere soddisfatti. Chi vuole vedere un film di quelli che, nei suoi ambienti, si sogliono chiamare “d’arte”, ha il diritto di trovarlo. Ma se tutti i produttori ragionassero nello stesso modo, se cioè tutti, constatando le preferenze della maggioranza verso determinati film, solo quei film si riducessero a produrre, gli uomini di gusto, di cultura, d’intelligenza, le persone sensibili, che speriamo vadano aumentando sempre di più, secondo lei come potrebbero soddisfare il loro legittimo desiderio?
Vede dunque, caro produttore, che anche da questo lato la questione non è così semplice. Senza parlare del diritto che hanno gli uomini di cinematografo di fare certi film piuttosto che altri. La storia del cinema è fatta dei nomi di Stroheim, Renoir, Eisenstein: nomi che a lei fanno forse paura.
Con questo non voglio dire che i film debbano essere talmente raffinati da riuscire incomprensibili al grosso pubblico: voglio dire semplicemente che, soprattutto oggi che la guerra ci ha insegnato tante cose, non possiamo più ritornare sulle posizioni di prima, ossia che se è vero che i film debbono rivolgersi al grande pubblico, è altrettanto vero che essi non possono conservare la falsità, il fasullismo (mi scusi la parola) di allora. Sincerità e verità mi sembra che siano i criteri ai quali ispirarsi. Le formule è tempo di eliminarle. Creda a me, il pubblico oggi ne ha passate troppe: se non è ancora maturo per apprezzare qualche volta la nostra fatica, sarà presto abbastanza maturo per disprezzare i vostri criteri se questi continueranno ad essere bassamente commerciali.
Vorrei che lei riflettesse su quanto ho scritto qui sopra. Lo conosco — mi risponderà —questo discorso, anche se le parole possono essere cambiate, mi è stato fatto molte volte. Ma io la prego di considerare che oggi molte cose sono cambiate, e che anche lei deve tener in maggior conto le opinioni degli altri, cioè deve agire come produttore più democraticamente. E giudicare con giudizio e serenità, come è giusto in un giorno come quello di Natale.
Tanti saluti,
Luchino Visconti (Film d’oggi N. 27 – 22 dicembre 1945)
163. PUPPETS WITH STRINGS

“Ho fatto molti film per la televisione, quasi uno all’anno, ma spesso non mi sono nemmeno accorto che li stavo girando. Non erano film miei, idee mie, ma incarichi, lavori con cui vivere. Prendevo la macchina da presa in spalla per fare prima, dicevo «Motore!», «Azione!», e andavo avanti col pilota automatico mentre la mia testa era altrove. Mi dicevo sempre “questo è l’ultimo, basta così, ridatemi la mia libertà”. Allora delegavo il mio doppio, quello che albergava clandestinamente dentro me stesso, a dirigere attori, a correggere battute, a impostare i movimenti di macchina, le luci dell’operatore. Insomma, non vedevo l’ora che finisse la giornata e intanto pensavo ad un’altra storia, a un film che non fosse destinato alla tv, ma ormai era troppo tardi.”
162. IL POTERE

“E ricorda, quando si ha una concentrazione del potere in poche mani, troppo spesso uomini con la mentalità da gangster ottengono il controllo. La storia lo ha dimostrato. Il potere tende a corrompere e il potere assoluto tende a corrompere ancora di più. Gli uomini di potere sono quasi sempre uomini cattivi, perfino quando esercitano influenza e non autorità. Non c’è eresia peggiore di pensare che la carica santifichi il suo detentore.”
Lord Acton (1834-1902) in una lettera al vescovo Mandell Creighton, Historical Essays and Studies
161. LAURENT CANTET

Ricordando con affetto e gratitudine Laurent Cantet (Melle, 15 giugno 1961 – Parigi 25 aprile 2024) uno dei più grandi registi contemporanei francesi, Palma d’oro al 61° Festival di Cannes con ENTRE LE MURS (La classe).
159. ELEONORA DUSE

“E’ una donna vecchissima, e tuttavia c’è in lei qualcosa che ricorda un bambino patito. Credo sia la semplicità della sua arte. Dietro il bambino c’è un gran cuore che si nutre di esperienza.
La Duse è sprofondata in una poltrona e ha contorto il proprio corpo quasi come un bambino sofferente (il personaggio ha appreso che suo figlio sa di essere illegittimo, ndr). Non se ne vedeva il volto; nessun sussulto alle spalle. Se ne stava in silenzio, quasi senza muoversi. Solo una volta il suo corpo è stato scosso da un brivido di dolore simile a un parossismo, e questo, e l’istintivo raggrinzirsi del suo corpo di fronte alla mano tesa del figlio, ecco quasi l’unico movimento visibile.
Pure, così grande è la sua forza drammatica, di tale entità è la conoscenza che ha della tecnica teatrale, che questa scena letteralmente ti strazia il cuore. Confesso che mi ha strappato lacrime. Quando alla fine la Duse si è girata, le mani abbandonate in un gesto di assoluta disperazione, rassegnazione, resa, è stata la miglior cosa che ho mai visto sul palcoscenico. Il suo dolore, il suo avvilimento, la sua contrizione, erano percorsi da una terribile ironia, e tutto questo stava in quell’unico gesto. Se solo sapessimo dirigere i film com’è stata diretta questa piéce! Alcuni dei più notevoli effetti sono stati ottenuti con modi che infrangono ogni regola…”
Charlie Chaplin – 20 febbraio 1024 per Los Angeles Daily Times
158. I SINGER
Cinque anni dopo la morte della seconda moglie, Reb Meshulam Moskat si sposò per la terza volta…
157. MARCESCENZA

“L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, incultura, stupidità , moralismo, pettegolezzo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è ora, il fascismo.”
Pier Paolo Pasolini
156. LA RACCOMANDAZIONE
“C’è un solo modo per entrare nel mondo del cinema se hai un po’ di talento, ovvero avere delle conoscenze.”
Don Siegel, ( 1912 – 1991) regista, montatore e produttore cinematografico statunitense.
155. LA SINDROME DA RASSEGNAZIONE

Dopo una guerra una città si ricostruisce, si tenta di dimenticare la catastrofe ma non è così per un bambino sradicato dalla propria terra e costretto ad attraversare il Mediterraneo, vittima innocente di una migrazione forzata. La sindrome di rassegnazione è, in questi casi, il disturbo più frequente che colpisce i piccoli sopravvissuti a un conflitto Il bambino cade infatti in uno stato di torpore, incapace di rispondere a qualsiasi stimolo: meglio ritirarsi dal mondo piuttosto che rivivere l’orrore.
Un giovane papà: “Guardando i miei figli negli occhi ogni minuto, posso vedere le domande che hanno: sono alla ricerca di risposte, di rassicurazioni sul fatto che tutto andrà bene e di un barlume di speranza per un futuro migliore. Io, come ogni genitore, sento la profonda responsabilità di fornire loro questo senso di sicurezza e speranza. Tuttavia, la realtà della nostra situazione attuale è straziante. Per la prima volta, mi ritrovo a desiderare di essere una roccia, incapace di farsi scalfire e resistente al dolore. Vorrei avere dei superpoteri, come gli uccelli, per fuggire da questa striscia di terra con la mia famiglia, in cerca di un rifugio. Vorrei essere un supereroe, per portare via i miei figli a vivere in pace”.
154. SALVADOR ALLENDE

“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica.”
Salvador Allende
Cimitero di Santa Ines alla periferia di Vina del Mar (Cile – 1998), con lo sceneggiatore Angelo Pasquini durante i sopralluoghi per “Il mondo alla fine del mondo”
153. WILD GEESE – OCHE SELVATICHE

Wild Geese
You do not have to be good.
You do not have to walk on your knees
for a hundred miles through the desert, repenting.
You only have to let the soft animal of your body
love what it loves.
Tell me about despair, yours, and I will tell you mine.
Meanwhile the world goes on.
Meanwhile the sun and the clear pebbles of the rain
are moving across the landscapes,
over the prairies and the deep trees,
the mountains and the rivers.
Meanwhile the wild geese, high in the clean blue air,
are heading home again.
Whoever you are, no matter how lonely,
the world offers itself to your imagination,
calls to you like the wild geese, harsh and exciting–
over and over announcing your place
in the family of things.
Oche selvatiche
Non devi essere buono.
Non devi camminare in ginocchio
per cento miglia nel deserto in penitenza.
Devi solo lasciare quell’animale morbido del tuo corpo
amare ciò che ama.
Dimmi della tua disperazione, la tua, e io ti dirò della mia.
Mentre il mondo va avanti.
Mentre il sole e i cristalli della pioggia
girovagano per i paesaggi,
su praterie e alberi profondi,
montagne e fiumi.
Mentre le ocche selvatiche, alte nel cielo blu,
volano verso casa.
Chiunque tu sia, non importa quanto sei solo,
il mondo offre se stessa alla tua immaginazione,
come le ocche selvatiche ti chiama, acuto ed eccitante –
indicandoti sempre il tuo posto
nella famiglia delle cose.
MARY OLIVER (Maple Heights, U.S.A, 10 settembre 1935 – Hobe Sound, U.S.A, 17 gennaio 2019)
152. KARAMAZOV E IL LACCHE’
151. QUALCOSA CHE AGGIUSTI TUTTO

“E’ tutto più complicato di quello che pensi. Vedi solo un decimo di ciò che è vero. Ci sono milioni di fili attaccati a ogni scelta che fai; puoi distruggere la tua vita ogni volta che fai una scelta. Ma forse non lo saprai per vent’anni. E non riuscirai mai a risalire indietro alla fonte. E hai solo una possibilità da giocarti. Prova solo a capire il tuo divorzio. E dicono che non esiste il fato, ma esiste: è ciò che tu crei. Anche se il mondo va avanti per una frazione di una frazione di secondo. La maggior parte del tempo lo passi da morto o prima di nascere. Ma mentre sei vivo, aspetti invano, sprecando anni, una telefonata o una lettera o uno sguardo da qualcuno o qualcosa che aggiusti tutto. E non arriva mai oppure sembra che arrivi ma non lo fa per davvero. E così spendi il tuo tempo in vaghi rimpianti o più vaghe speranze perché giunga qualcosa di buono. Qualcosa che ti faccia sentire connesso, che ti faccia sentire completo, che ti faccia sentire amato. È la verità è che sono così arrabbiato e la verità è che sono così triste, cazzo, e la verità è che ho sofferto, cazzo, per un cazzo di tempo lunghissimo, per quello stesso tempo in cui ho fatto finta di essere ok, giusto per andare avanti, giusto per, non so perché, forse perché nessuno vuole sapere della mia tristezza, perché hanno la loro e la loro è troppo opprimente per permettere di starmi a sentire o di curarsi di me. Be’, vaffanculo tutti. Amen“
Synecdoche, New York (2008) di Charlie Kaufman. Monologo del protagonista Caden Cotard (Philip Seymour Hoffmann)
150. MICHAEL LONSDALE

Michael Lonsdale (1931-2020), conosciuto al grande pubblico per le decine di film girati in carriera (Il nome della rosa, Quel che resta del giorno, Munich, Uomini di Dio, Il villaggio di cartone, dove è stata scattata questa istantanea) era un attore a dir poco sublime ma anche un uomo di una gentilezza rara. Una sera, mentre eravano a cena insieme in una trattoria di Bari, parlando di religione perchè il film che stava interpretando “Il villaggio di cartone” di Olmi era comunque la storia di un vecchio sacerdote che, dopo la dismissione della sua chiesa, trova ancora un motivo di fede aiutando gli immigrati clandestini, mi disse: “Io che come tutti sanno sono credente non vedo Cristo come una persona, per me non ha un aspetto fisico ma gli parlo come ad un vecchio amico, ogni giorno, sempre, quando voglio, quando posso. La preghiera per me è come respirare. Non penso di pregare, prego e basta!” Io invece non sono credente, non frequento chiese e messe, eppure in quel momento l’ho invidiato. Immenso Michael Lonsdale.
149. LE BELLE STATUINE

Le belle statuine
d’oro e d’argento
che costan 500
è pronto il mio caffè?
Mentre chi conduce il gioco recita la filastrocca, tutti gli altri giocatori scelgono una posizione per imitare una statua. Oggi questo passatempo è quasi del tutto scomparso tranne che per chi detiene il potere.
148. LINA WERTMULLER

“Il sogno di tutti i distributori è di avere dei film con una sola parola perché la possano scrivere più grande; ad un certo punto mi è venuta – grazie a quel tanto di “scugnizzo” che c’è in me – la voglia di scherzare col pubblico e di proporgli dei titoli talmente lunghi che nessuno se li potesse ricordare.”
Lina Wertmuller (1928 -2021) regista, sceneggiatrice e drammaturga. Prima donna nella storia del cinema a essere candidata all’Oscar come miglior regista.
147. TERRENCE MALICK

“NON CI SONO SOLAMENTE I FILM NELLA MIA VITA”
Terrence Malick, (1943) è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense.
146. TASHKENT

A Tashkent ben poco è sopravvissuto del passato di una delle più strategiche città carovaniere della Via della seta. L’archittetura sovietica non ha lasciato scampo a nessuno tranne che ai vecchi mercanti di stoffe che si ostinano a vendere la loro merce al Chorsu Bazaar.
145. STATI D’ANIMO

Interagire con i cani può ridurre significativamente pensieri negativi e stressanti, consentendo ai padroni di controllare meglio i loro stati d’animo e creando così una ambiente più calmo e rilassato. Interagire con i produttori invece può causare effetti esattamente contrari.
144. FOZ DO IGUACU

1989. Quando gioventù e lavoro si coniugano con un posto leggendario come Foz do Iguaçu (Brasile) la felicità non è più un concetto astratto ma qualcosa che si può toccare con mano.
143. IL VASSALLAGGIO

Senza arrivare agli estremismi di Scorsese che accusa le piattaforme di “…essere solo dei contenitori di prodotti nonché mortificatori della magia del cinema” quello che invece preoccupa, e molto, è il vassallaggio dei produttori nei confronti delle medesime: un rapporto a senso unico. La piattaforma decide, finanzia e il produttore si attiene in tutto e per tutto alle sue regole diventando così un court jester, un menestrello ormai privo di serietà e soprattutto credibilità. Sono gli algoritmi a decidere storie, modi e tempi, perfino il cast. E poi parliamo dei danni che potrebbe provocare l’AI.
142. LA RAGAZZA LIBANESE

Chissà cosa stava pensando questa giovane libanese al momento di questo scatto. Il rosso che però l’avvolge è come se proietasse un’aura di fiducia sul suo futuro. Nonostante tutto.
141. LA COLLETTA

Ho scattato questa fotografia a Santiago del Cile dove recentemente la Caritas ha indetto una colletta nelle varie diocesi del Paese per aiutare i poveri. Sono così stati raccolti 103.632.874 di pesos cileni (pari a 106.223 eur). José Tomás Silva, responsabile della gestione delle risorse della Caritas, si è detto felice di condividere questa cifra ringraziando tutti coloro che “hanno aperto i loro cuori in segno di solidarietà”.
140. MASCHERE E VOLTI

“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti…“
Da: Uno, nessuno e centomila
Luigi Pirandello (1867 – 1936), drammaturgo, scrittore e poeta.
139. ELIA SULEIMAN
Un capolavoro da rivedere oggi per capire le origini del male. Di se stesso Elia Suleiman dice: “Non ho una patria per poter dire che vivo in esilio… vivo in postmortem… vita quotidiana, morte quotidiana.”
138. MANIPOLAZIONE

Di recente ho scattato questa fotografia a Beirut. Ritrae l’ex Ministero dell’Informazione e del Turismo libanese, abbandonato da tempo. Eppure in rete circola più o meno la stessa immagine dove si afferma che l’edificio è ancora “scandalosamente operativo”. Bieca manipolazione della realtà ad opera di chi vuole screditare un paese, un popolo, una cultura millenaria nata ben 3500 anni prima di Cristo, quindi molto prima dei Romani.
137. IL GIOVANE BAFFUTO

La vecchia Signora aveva un assistente, il “giovane baffuto”, interpretato da Luigi Cancellara*, che nella vita non faceva l’attore ma l’architetto. Quando la vecchia Signora gli chiede una particolare bottiglia di vino, solerte l’assistente scende nelle cantine. – Ecco mettiti là, dietro le bottiglie, così quando prendi quella giusta, ti vediamo bene in faccia… fai una smorfia di apprezzamento perché è un’annata speciale, rarissima, e torni in sala per farla vedere alla Signora… hai capito bene? – Questa la semplicissima indicazione di Ermanno. L’architetto-attore annuì, ma si vedeva che qualcosa non stava andando per il verso giusto. – Asciugategli la fronte che sta sudando troppo… Sta fermo, cosa fai, tremi?- Più che tranquillizzarlo, la voce di Ermanno, che nemmeno vedeva, scuoteva il malcapitato architetto da capo a piedi. Con la scusa di verificare il diaframma lo raggiunsi: – Che succede, stai male?
L’architetto scosse appena il capo e sussurrò:
– Non le senti anche tu?
– Che cosa?
– Le urla… arrivano da là dietro… possibile che non le senti?
– Allora, siamo pronti? – gridò Ermanno dal suo angolo buio.
Mentre tornavo alla macchina da presa pensai a dove eravamo: come ci avevano raccontato la cantina poteva essere più o meno sotto «la stanza delle streghe», tant’è che entrambi i locali erano identici per misura e angolari. Davanti all’obiettivo venne battuto il primo ciak della scena: – Vai architetto, azione… – disse Ermanno. E non successe niente. Poi tutto a un tratto si udì un tonfo accompagnato da un fracasso di vetri infranti. L’architetto era svenuto, e nel cadere si era trascinato dietro un’intera mensola di bottiglie. Non ho mai capito se per l’emozione di essere sul set di Ermanno oppure per il terrore che gli suscitarono quelle misteriose urla.
Da: “La Scelta- Il cinema , l’amicizia, gli anni con Ermanno Olmi” Vallecchi
*Nella foto Luigi Piero Cancellara è il secondo da dx. Il film è “Lunga vita alla signora”, Leone d’argento alla 44ma Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
136. SODERBERGH E KAFKA

In questo vecchio cimitero ebraico di Praga, lo Starý židovský hrbitov, sono state girate alcune scene di “Delitti e segreti” di Steven Soderbergh ( 1991) basato sulla vita e le opere di Franz Kafka. Un film magistrale con Jeremy Irons nel ruolo dello scrittore.
135. LA PIANTA

Scrive Carla Melazzini (1944 – 2009), insegnante in una delle scuole più impegnative del Progetto Chance di Napoli, autrice di “Insegnare al principe di Danimarca”:
“Se proprio vogliamo considerare una persona come una pianta, allora le sue radici stanno dentro di lei, e trasportano i succhi nutritivi di coloro che l’hanno generata e educata, cioè “tirata fuori”: se le radici sono sufficientemente buone, la pianta si deve alzare ed espandere nel mondo circostante…”
134. LA PREGHIERA

Da che l’uomo è uomo, prega. Sempre e ovunque l’uomo si è reso conto che non è solo al mondo.
Anche se non sono credente è soprattutto nei paesi musulmani che questo pensiero mi spinge spesso verso e dentro le moschee dove resto a lungo, in silenzio, ad osservare chi prega e si prostra verso qualcuno che “lo ascolta”. Forse perché per la cultura islamica i luoghi di culto sono vuoti, semplici, essenziali, non strabordanti di stucchi, ori, marmi, dipinti, statue, ceri, panche, lapidi e altari. Non credo proprio che tutti questi orpelli rendano la preghiera più efficace, tantomeno più felice chi dovrebbe “ascoltare”.
133. MICHAEL CIMINO E LA GUERRA
Michael Cimino (New York, 3 febbraio 1939 – Beverly Hills, 2 luglio 2016). 5 premi Oscar (su 9 candidature ricevute) tra i quali quelli per il miglior film e la miglior regia per il film “Il Cacciatore”.
132. UN POSTO MIGLIORE
C’è sempre chi pensa di lasciare il suo segno ovunque pensando di rendere il mondo un posto dall’aspetto migliore.

La sede della Longaberger Basket Company a Newark, Ohio, USA
131.STEREOTIPI

Secondo un recente studio la donna tipica del cinema di Bollywood è “obbediente, sottomessa, casta, controllata e pronta a sacrificarsi”, mentre le anti-eroine sono descritte come “individualiste, sessualmente aggressive e dai costumi occidentali”. Evidentemente il cinema hindi ha dei grossi problemi di sessismo.
130. BOX OFFICE 2023

Distributori ed esercenti cantano vittoria eppure a ben vedere i conti purtroppo non tornano. Negli ultimi 31 giorni del 2023, le sale cinematografiche italiane hanno incassato complessivamente 56 milioni di euro per 7,8 milioni di presenze. Nel 2019 gli incassi erano stati di 87 milioni di euro e le presenze 13 milioni; dunque, rispettivamente -35,7% e -39,9%. Dicembre 2019 era andato particolarmente bene, ma i livelli pre-pandemia restano ben più alti se si pensa che dicembre 2018 era arrivato a 76,2 milioni di euro e dicembre 2017 a 72,9 milioni.
129. STOP KILLING CHILDREN IN GAZA

“Dal 7 ottobre 2023 abbiamo subito massacri, uccisioni, bombe cadute sulle nostre teste. Tutto questo davanti al mondo. Israele sta mentendo al mondo dicendo che uccide i combattenti, ma sta uccidendo la gente di Gaza, i loro sogni e il loro futuro. L’occupazione ci sta affamando. Non troviamo acqua, cibo e beviamo dall’acqua inutilizzabile. Siamo qui per chiedere a voce alta di proteggerci. Vogliamo vivere, vogliamo la pace, vogliamo che chi ha ucciso i bambini venga processato. Vogliamo medicine, cibo e istruzione e vogliamo vivere come vivono gli altri bambini“.
Così ha dichiarato un bambino palestinese, nel corso di quella che i media internazionali hanno definito “la conferenza stampa dei bambini”.
128. MOBY DICK O LA BALENA

In lavorazione il mio adattamento per bambini, in 30 tavole a colori, di “Moby Dick o la Balena”, scritto nel 1851 da Hermann Melville, dove Ismaele che si è imbarcato come marinaio sulla baleniera Pequod narra la sua straordinaria avventura. Al comando della nave c’è un enigmatico capitano che esercita una sinistra influenza sui suoi ufficiali e sulla ciurma, Achab. Per colpa di una misteriosa balena bianca che appare e scompare nei mari di mezzo mondo Achab ha perso una gamba e le ha giurato vendetta. Inizia così un snervante inseguimento negli oceani… Età di lettura: da 6 anni.
127. STEAMBOAT WILLIE
Il cortometraggio potrà d’ora in poi essere utilizzato da tutti e perfino rifatto sia in edizione cartacea, in teatro o sullo schermo oltre che pubblicarlo nella versione originale sul web senza alcun rischio di querele e senza dover pagare royalties.
126. IL PROBLEMA DEI PROBLEMI

“La pace è il problema dei problemi, perché la guerra genera ogni male e versa ovunque i suoi veleni di odio e violenza, che raggiungono tutti, pandemia di morte che minaccia il mondo. Tutto è perduto con la guerra: lo sappiamo, ma non impariamo! Addirittura tanta cultura diventa cedevole nell’accettazione della guerra come fosse una compagna naturale, se non dolorosamente benefica, della storia dei popoli. L’alternativa alla guerra è riprendere a trattare con buona volontà e rispetto dei vicendevoli diritti. Non bisogna smettere di credere che si può arrivare a comprendersi! Non è ingenuità, ma responsabilità”.
Matteo Zuppi, cardinale
125. QUATTRO AMICI SUL PICK-UP

I volti sorridenti di questi quattro “campesinos” seduti sul pianale del nostro pick-up mentre da Ollontaytambo (Perù) tornavamo a Cusco mi hanno sempre accompagnato nella vita, quasi come un amuleto portafortuna. Non so quante copie ho tirato negli anni da questo negativo perché è uno scatto molto amato che oggi rallegra tante case di amici e conoscenti. Anche se con l’avvento degli smartphone viviamo in un’epoca intasata di immagini e video una vecchia fotografia analogica di un momento semplice ma dal grande valore empatico come questa ha permesso di fermare il tempo e annullare le distanze. Guardandola rivivo sempre l’emozione di quell’attimo, quella gioia irripetibile di essere là, accolto da un popolo antico che ci ha aiutato nel lavoro che stavamo facendo. Il potere della fotografia è tutto qui: creare un’immagine che rende immortale un frammento di vita.
*
“La fotografia è molto più del semplice scattare foto: è quello che senti, quello che vuoi esprimere, è la tua ideologia e la tua etica. È un linguaggio che ti permette di cavalcare l’onda della storia” Sebastiano Salgado
124. CLARA CALAMAI

Quasi nessuno sa che al cimitero di Rimini, accanto alla monumentale scultura realizzata da Gio Pomodoro per Federico Fellini e Giulietta Masina , c’è la più modesta stele alla memoria di Clara Calamai, famosissima attrice cinematografica degli anni trenta. Divisa fra divismo e l’antiprofessionismo del cinema neorealista la Calamai fu anche la prima donna fatale del cinema italiano. La sua popolarità raggiunse il culmine nel triennio 1940-1942, quando interpretò una ventina di film, molti in costume come “La cena delle beffe” (1942) di Blasetti, nel quale destarono grande scalpore i famosi diciotto fotogrammi in cui appariva a seno nudo. Successivamente Luchino Visconti la scelse come protagonista di “Ossessione”, facendola così diventare meno dark-lady e più attrice drammatica, qualità fino allora scarsamente utilizzata.
123. GARY GRAVER

“Gary è un direttore della fotografia assolutamente di prima classe. Ha un forte senso visivo e uno straordinario gusto per le immagini. Ha una immensa competenza tecnica e non conosco nessuno che possa tenere insieme una troupe con l’autorità ma anche con la simpatia di Gary. Per questo è amato dai suoi collaboratori e sa come ottenere da loro quel grado di impegno in più mantenendo un’atmosfera di entusiasmo sul set. Inoltre è un direttore della fotografia eccezionalmente veloce. Sei sempre in anticipo sui tempi con Gary Graver… Soprattutto, sa come valorizzare le inquadrature per far sì che ogni dollaro conti. Questo grado di efficienza e questa combinazione di talento sono davvero rari”.
Orson Welles
Graver ha lavorato a numerosi film completati e incompiuti con Welles, tra cui “F For Fake”, “Filming Othello”, “The Other Side of the Wind”,” The Dreamers”, “Filming The Trial”, “The Magic Show”, “The Orson Welles Show” e altri.
La sua carriera comprende anche molti film di Roger Corman, e il debutto alla regia di Ron Howard (Grand Theft Auto, 1977).
Il libro di memorie di Graver, Making Movies with Orson Welles, scritto in collaborazione con Andrew J. Rausch, è stato pubblicato due anni dopo la sua scomparsa.
122. PORTO CANALE NELLA STORIA DEL CINEMA ITALIANO

Il Porto Canale di Cesenatico è stato ideato da Leonardo Da Vinci nel 1502 su commissione di Cesare Borgia per migliorare all’approdo preesistente e risolvere cosi l’annoso problema dell’insabbiamento dell’imboccatura. Celebre l’episodio in cui Leonardo, arrampicatosi su una torre, disegnò quella veduta dall’alto e quella planimetria del porto canale che si trova in uno dei suoi taccuini, il Codice L.
Qui, nel lontano 1952, venne girato “Camice Rosse – Anita Garibaldi” di Goffredo Alessandrini (poi termi nato da Francesco Rosi) con Anna Magnani.
121. PAUL THOMAS ANDERSON

“La mia educazione cinematografica è consistita nel capire quali registi apprezzassi guardandone i film. La parte tecnica l’ho appresa grazie ai libri e ai giornali e alle nuove tecnologie con cui puoi guardare film interi con il commento audio del regista. Si può imparare molto di più dal commento tecnico di John Sturges su Bad Day at Black Rock (1955, in italiano Giorno Maledetto) che in vent’anni di una scuola di cinema. Le scuole di cinema, carissime oltretutto, sono una truffa totale.”
P.T. ANDERSON
1970. Regista, sceneggiatore, produttore e direttore della fotografia statunitense. 11 candidature al premio Oscar
120. CAPODANNO CON IL CARDINAL MARTINI

Secondo la tradizione, la mattina del 1° gennaio la banda del Comune porta gli Auguri all’arcivescovo di Milano. In questa fotografia che ho scattato presumibilmente verso la fine degli anni ’80 c’è, di spalle, il Cardinal Carlo Maria Martini, figura indimenticabile e carismatica della Chiesa, nonché portatrice di riflessioni di straordinaria attualità: ”Abbiamo bisogno di tempi, di silenzio, di calma, di preghiera, perché soltanto così possiamo affrontare le responsabilità che ci vengono date. Per questo vi ricorderete cosa ho detto in molte occasioni: lavorare meno e lavorare meglio e riposarsi un po’ di più.”
119. ORSON WELLES. 2

“La regia cinematografica è il perfetto rifugio per i mediocri. Ma quando
un buon regista fa un cattivo film, l’universo intero sa chi ne è responsabile.”
O. W.
118. RENATO DE CARMINE

Renato De Carmine (Roma, 23 febbraio 1923 – Roma, 18 luglio 2010). Uno dei più grandi e simpatici attori con il quale ho avuto il piacere di lavorare e soprattutto di imparare l’arte della recitazione. Mi è bastato vederlo in scena durante le riprese di “Qualcosa su Don Orione” (1989) per capire tante cose, meglio di qualsiasi scuola di recitazione. Un amico indimenticabile al quale sono e sarò sempre grato.
117. PERSONA NON UMANA

PUCK
7/11/2011 -29/12/2022
116. BLEU

“Le avevano detto che non esisteva nessuna pozione magica per sconfiggere la strega, Adriana la chiamava così, però qualcosa che ne rallentava la devastante progressione c’era. Ben magra consolazione. Distruzione delle cellule, demenza degenerativa, Alzheimer insomma. Parole terribili, mitigate solo dai sorrisi ebeti di amici e colleghi che le suggerivano di fare un fascicolo di parole crociate al dì, perché così il cervello si mantiene “vigile” e le cellule non muoiono come tante formiche asfissiate dal Baygon. Sì, sì. Diceva a tutti Adriana. Le faccio, non vi preoccupate che le faccio. Ma poi si limitava a leggere le vignette che, oltretutto, nemmeno la facevano ridere. Un’unica cosa confortava Adriana, sola nella sua raffinata casa romana: il silenzio. Luminosa e spaziosa, con le ampie finestre che si affacciavano sul cielo quasi sempre azzurro, quella casa era da più di trent’anni il suo porto d’arrivo dopo le estenuanti tournée in giro per l’Italia, ma anche all’estero. Il silenzio e quella luce la rigeneravano, le davano la forza di andare avanti anche senza una famiglia, gli affetti, gli amori.
Quelle cose lì insomma, che fanno più sopportabile la vita, almeno così si dice. Non che non ne avesse avute di storie anzi, ma per un motivo o per l’altro evaporavano nel nulla tutte nello stesso modo. Meglio non andare oltre… Diceva lei al “cretinetti” di turno. Meglio non farsi del male. E a quelli non sembrava vero, la prendevano in parola e scomparivano con il vento sotto le suole.”
Incipit di “Bleu” , romanzo breve in due tempi cinematografici
115. I GRANDI DOCUMENTARISTI 4: ERROL MORRIS
Errol Morris lavora ai suoi film in modo assolutamente non convenzionale a cominciare dall’uso della macchina da presa, quasi sempre messa di fronte agli interpreti dei suoi lavori, spesso gente comune che parla a ruota libera senza alcuna limitazione di tempo. Così facendo ha sempre creato opere inimitabili che, in un mash-up con materiali d’archivio e altre contaminazioni, riescono a scuotere il pubblico fino a fargli raggelare il sangue nelle vene. Un personalissimo stile che gli è valso l’Oscar nel 2004 per il miglior film documentario con The fog of war.
114. IL PIU’ GRANDE
“Il cinema è l’unica forma d’arte che – proprio perché operante all’interno del concetto e dimensione di tempo – è in grado di riprodurre l’effettiva consistenza del tempo – l’essenza della realtà – fissandolo e conservandolo per sempre.” A. T.
113. MILLENARIA DIGNITA’

Sulle Ande del Perù, a oltre 2.800 metri di altezza, c’è un’umanità che , nonostante le quotidiane difficoltà, ha sempre il sorriso sulle labbra. Sono i campesinos, contadini poverissimi, che sfidano ogni giorno siccità e aridità in una perenne lotta per la sopravvivenza. Eppure questo millenario mondo indigeno possiede una ricchezza ad altri sconosciuta: un universo fatto di colori, di sentieri, di nomi, di sapori, di piante, di parole, di vita e soprattutto di inscalfibile dignità.
112. IL PRESEPE

Questo Natale cade l’ottocentesimo anniversario dell’istituzione del Presepe: fu nella Santa Notte del 1223, infatti, che a Greccio, su idea di san Francesco di Assisi, venne messa in scena la prima Natività di Gesù della storia. Ermanno Olmi fece un suo personale Presepe nel 1983 con Camminacammina: un film toccante, che parla alle nostre più intime corde spirituali, ma che tuttavia non fu bene accolto dall’establishment nostrano, sia critico che religioso (ne parlò, su «Cineforum», Gualtiero De Santi, in un articolo apparso sul n. 231, gennaio-febbraio 1984.) Olmi, alla conferenza stampa di presentazione del film al Festival di Cannes, disse: «Da credente rifiuto decisamente le certezze che mi vengono dettate, se non lasciano spazio ai dubbi che io stesso mi impegno a superare. La fede deve nascere da una lotta sincera, da un conflitto tra noi stessi e i nostri dubbi». Alla domanda di Luca Cupiello «Te piace ‘o Presepio?», ci sentiamo di rispondere senz’altro: «Quello di Olmi, sì!».
da Redazione Cineforum, dicembre 2023
111. ESTASI

Puntuale, l’estasi giunge al termine del Siq (il canyon) dove i primi raggi del sole illuminano il Khanzeh (il Tesoro) di Petra. Ma anche con il calore che incendia la sua millenaria storia in sorprendenti sfumature di rosso e oro. In quell’unico, fuggente momento un’incoercibile sensazione di tranquillità sembra abbracciare il visitatore che ha osato arrivare fin lì, nel cuore della Giordania, paese di antiche civiltà e avventure da film.
110. IL VALORE

“Non permettergli mai di ridurti a pensare che vali solo quello che ti pagano”.
Michela Murgia (Il mondo deve sapere)
109. AND THE WINNER IS… A JOY STORY – JOY AND HERON
108. LA CATTIVERIA

La mediocrità non vuol dire non avere talento ma non avere più la forza di opporsi all’arroganza dei produttori o, come l’ha definita provocatoriamente il premio Oscar Steven Soderbergh, alla loro “cattiveria”: “La peggior cosa del fare film – particolarmente negli ultimi anni – è il modo cattivo in cui i registi sono trattati. È diventato assolutamente orribile il modo in cui la gente coi soldi decide di poter scoreggiare in cucina, per dirla in modo schietto. Non solo gli studios, ma chiunque finanzi un film.”
107. ITALIANI E STRANIERI

Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora io reclamo il diritto didividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri.
Don Lorenzo Milani
106. I GRANDI DOCUMENTARISTI 3: SEBASTIAN JUNGER e TIM HETHERINGTON
Sebastian Junger e Tim Hetherington, di professione giornalisti, hanno seguito da vicino per un anno la 173rd Airborne Brigade Combat Team, un reparto americano dispiegato per 15 mesi nella Korengal Valley in Afghanistan, importante regione talebana, soprannominata “la valle delle morte”, realizzando così uno dei migliori documentari di guerra di sempre, Restrepo, gran premio della giuria al Sundance Film Festival e candidato all’Oscar come miglior documentario Un crudo e accurato racconto della guerra moderna, e degli uomini che la fanno.
Vincitore al Sundance Film Festival e candidato all’Oscar come miglior documentario
105. IL SARTO

Mi sono sempre trovato davanti all’ottusità di chi pensa che un regista debba mettere in scena il copione senza cambiare una virgola e limitarsi a confezionare al meglio il film come se fosse il sarto, non lo stilista. Ora, dopo tanti anni di taglia e cuci, fare il sarto mi è diventato insopportabile. Anche perché negli ultimi tempi mi sono trovato a lavorare per atelier molto discutibili dove sarebbe preferibile rinunciare a imbastire un abito piuttosto che farlo con materie prime scadenti e senza il tempo necessario per realizzarlo in modo quantomeno dignitoso.
104. LA VOLPE ROSSA

Come ogni sera, una vecchia volpe dal pelo ormai più bianco che rosso stava scendendo al torrente per bere. Questa volta però qualcosa l’aveva messa in allarme, eppure in giro non c’era nessun altro e nel cielo non volteggiava alcun rapace in grado di ghermirla per poi dilaniarla come un topolino qualsiasi. Dopo aver annusato l’aria la volpe aveva avvertito un odore sospetto. Con un passo felpato si era infilata in un intrico di felci così enormi da sembrare un residuo della preistoria. Lì l’odore era ancora più aspro, quasi nauseante: la puzza umana! Il più letale dei predatori era vicino, nascosto chissà dove. Scavalcando il tronco di un faggio abbattuto da qualche burrasca alla fine la volpe li aveva visti: due umani. Uno riverso fra i massi, il corpo obeso semisommerso dall’acqua del torrente che serpeggiava nella gola, l’altro immobile sull’argine, identico a quello affogato, solo un po’ più, come dire… ialino. Una trasparenza ancora più evidente nel volto, la cui espressione indicava un patimento senza fine. Attenta a non fare il minimo rumore, con una zampa sospesa a mezz’aria, la volpe stava valutando come raggiungere l’acqua quando Patimento le aveva detto: «Guarda che non sei invisibile, ti vedo sai?». Spaventata dalla voce la volpe aveva fatto un balzo in aria, poi si era lasciata cadere a terra fingendosi morta, stecchita dalla paura…
da “Sotto il sole – racconti di uomini, animali e ombre” – Vallecchi editore
103. C.C.T. CENTRO CINEMA E TEATRO. 2

“Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare.” Abbiamo preso in prestito queste parole di Socrate per dare vita a un laboratorio nel quale si apprende il Cinema senza lezioni, né docenti, ma semplicemente “facendo”. Con la gioia immensa di trasferire a un giovane non sterili nozioni bensì la propria esperienza e portarlo così, nei giusti modi e tempi, a comprendere l’arte della narrazione cinematografica fino a metterla in pratica.
102. PHILIP DICK
“Io sono Ubik. Prima che l’universo fosse, io ero. Ho creato i soli. Ho creato i mondi. Ho creato le forme di vita e i luoghi che esse abitano; io le muovo nel luogo che più mi aggrada. Vanno dove dico io, fanno ciò che io comando. Io sono il verbo e il mio nome non è mai pronunciato, il nome che nessuno conosce. Mi chiamo Ubik, ma non è il mio nome. Io sono e sarò in eterno”.
Philip Dick
Il 16 dicembre 1928 nasceva a Chicago Philip Dick. Scrittore di fantascienza. Per tutta la sua vita, fino alla conclusione avvenuta il 2 marzo 1982, Dick ha tenuto fede alla sua missione, quella “…di captare, di ascoltare, le voci provenienti da un altro luogo, molto lontane, suoni che sono deboli, ma importanti. Arrivano solo la notte tardi, quando il baccano e il chiacchiericcio di fondo del nostro mondo sono svaniti. Quando i quotidiani sono stati letti, gli apparecchi televisivi sono stati spenti, le automobili parcheggiate nei vari garage. Allora, debolmente, odo le voci da un’altra stella”.
101. LA DOTE

Il percorso di un Autore non termina mai con i titoli di coda del suo ultimo film ma continua di giorno in giorno con nuove idee che scaturiscono dagli incontri ma anche dai necessari cambiamenti, quelli che arricchiscono e stimolano la creatività, e che alla fine permettono di portare in dote cose utili destinate alle nuove generazioni: il sapere (la conoscenza) il fare (la competenza ) e la passione (cioè avere la determinazione e la costanza di lavorare) ma anche la curiosità, la sensibilità e soprattutto la dedizione per il proprio lavoro. Alla fine la gratificazione più grande è leggere negli occhi di un ragazzo la soddisfazione che prova quando si rende conto che sta acquisendo una competenza nuova. I giovani sono un mondo speciale: regalano l’esuberanza, la vitalità e l’entusiasmo della loro età. Regalano la vita.
100. OLLANTAYTAMBO

A un centinaio di chilometri a sud di Cusco (Peru’), nella piazza della più antica delle città inca ancora abitata, Ollantaytambo, c’è sempre un grande mercato dove si vende di tutto, dalle stoffe ai generi alimentari, dalle bestie ai souvenir locali. Nella maggior parte dei casi sono i bambini a trattare il prezzo delle merci, come la giovanissima vendititrice di cestini di vimini di questa fotografia.
99. I GRANDI DOCUMENTARISTI 2 : FREDERICK WISEMAN
“Faccio film parziali, pregiudiziali, manipolatori, ma giusti, nel senso che sono sempre fedeli alla mia percezione di quello che sta accadendo”
Premiato alla Mostra del cinema di Venezia del 2014 con un Leone d’oro alla carriera, Frederick Wiseman, uno dei più grandi documentaristi viventi (93 anni!), continua ancora oggi a girare un film dopo l’altro documentando istituzioni di ogni tipo rivelandone i meccanismi, le storture, l’ingiustizia sociale che stanno dietro al loro funzionamento. E senza forzature del discorso ma con la massima attenzione ai dettagli, alle sfumature del racconto, al mutare degli eventi ma soprattutto all’improvviso rivelarsi dell’individuo riprendendo le sue conversazioni, le transazioni, le riunioni di lavoro, le attività quotidiane attraverso le quali si esprime. Un percorso esemplare per arrivare alla verità finale che, nei film di Wiseman, emerge sempre lentamente così come lenta è la fase di montaggio che, ogni volta, richiede lunghi mesi di lavoro.
98. LO STAGISTA

Il termine bottega può sembrare obsoleto, tuttavia riveste ancora un’ineludibile importanza nella formazione dei giovani, in tutti i settori. Oggi va più di moda la parola stage (presa in prestito dal vocabolario francese per indicare un periodo di tirocinio formativo) ma fra stage e bottega la differenza è abissale.
Tanti giovani frequentano stage sui vari set cinematografici o televisivi; guardano, cercano di capire il lavoro che si svolge freneticamente sotto il loro sguardo, ma nessuno su quei set, si preoccupa di spiegare loro quello che in realtà sta succedendo anzi, spesso questi giovani non riescono nemmeno a stare vicino al regista o al tecnico di riferimento, ma vengono spediti a destra e a manca per tamponare improvvisi bisogni di produzione. Da stagisti eccoli allora trasformati in runners, in poche parole “galoppini” del set. Risultato: lavorano, sudano, non vengono pagati (se non con un “cestino” per pasto) e alla fine delle settimane di lavorazione non hanno imparato assolutamente nulla. Al massimo, se non hanno rotto troppo le scatole con stravaganti richieste, se non si sono lamentati, se sono stati efficienti, saranno richiamati per un altro lavoro.
La bottega invece è tutt’altro. Un luogo dove il rapporto è di uno a uno: l’artigiano e l’apprendista. Il primo con la sua arte data dal tempo e dall’esperienza acquisita, il secondo con la sua volontà d’apprendimento e la sua naturale, giovanile voglia di mettersi in gioco. La bottega può essere tutto e ovunque, qualsiasi luogo dove si produce qualcosa: anche uno sperimentale e improvvisato set cinematografico, o un palcoscenico teatrale; perché se gli allievi non hanno la possibilità d’incontrare chi potrebbe dar loro una qualsiasi possibilità “creativa”, difficilmente potranno pensare d’intraprendere un percorso “creativo”, ma saranno orientati verso altre strade, purtroppo anche quelle che a volte possono portare alla dispersione delle loro energie e potenzialità.
97. ASINI

Il cafone è un asino che ragiona. Perciò la nostra vita è cento volte peggiore di quella degli asini veri, che non ragionano. L’asino irragionevole porta 70 chili di peso, oltre non ne porta. L’asino irragionevole ha bisogno di una certa quantità di paglia. Tu non puoi ottenere da lui quello che ottieni dalla vacca, o dalla capra, o dal cavallo. Nessun ragionamento lo convince. Nessun discorso lo muove. Lui non ti capisce, o finge di non capire. Ma il cafone invece, ragiona. Il cafone può essere persuaso. Può essere persuaso a digiunare. Può essere persuaso a dar la vita per il suo padrone. Può essere persuaso ad andare in guerra.
Ignazio Silone, Fontamara
96.I GRANDI DOCUMENTARISTI 1: LES BLANK
“Giro solo le cose che mi piacciono, e non giro quelle che non mi piacciono. Per questo motivo, c’è il rischio che molti accademici arruffino le penne se i miei film vengono definiti etnografici. Sono troppo soggettivo per essere un etnografo che si rispetti, la verità è che sono interessato a certe culture di cui la maggioranza degli americani oggi non conosce nemeno l’esistenza.”
Le cose che piacevano di più a Les Blank (Leslie Harrod Blank . 1935 – 2013), poeta del documentario, di cui i suoi film realizzarti per decenni con una Aton 16 mm (fino alla coversione nel digitale) rimangono spesso le ultime testimonianze, erano la musica e la cucina. Blank era un filmmaker dei sensi, un regista che si era formato con la controcultura della California.
50 anni di carriera, 42 film quasi tutti autodistribuiti. Il più famoso è il magnifico, ipnotico Burden of Dreams, backstage delle riprese di Fitzcarraldo di Werner Herzog, di cui la critica disse che era più bello del film stesso. https://www.youtube.com/watch?v=FggCkCuuBXw
L’ultima grande retrospettiva gli è stata dedicata dal Moma di New York, nel 2011.
95. LE TORRI

Mai prima di quel giorno un accadimento tragico è stato filmato, fotografato, registrato e diffuso nel mondo in modo così intensivo. Io invece le torri preferisco ricordarle così, imponenti e dominatrici assolute della skyline di New York, come in questa istantanea realizzata da Hoboken, dall’altra parte dell’Hudson, mentre stavo facendo dei sopralluoghi. Quando ho scattato questa foto mancava qualche anno all’attentato ma ancora oggi, nel guardarla, non posso fare a meno di pensare a tutti quegli impiegati, in maggior parte ragazze e ragazzi, che lì dentro hanno perso la vita. Anime che quella mattina di settembre erano andate al lavoro come sempre, magari per portare a casa un ben magro stipendio.
94. ASCOLTARE

La principale delle regole del cinema-documentario è saper ascoltare perché l’incontro con le persone può dar luogo a un arricchimento di competenze e conoscenze altrimenti impossibile. L’ascolto diventa così non solo fondamentale ma favorisce anche la narrazione attraverso la reciproca complicità: tu riconosci me che sto cercando di comprendere, e io riconosco te in un cammino che vogliamo compiere insieme. Ma per capire come ascoltare gli altri, è necessario prima capire cosa vuol dire ascoltare. Non a caso si parla di arte dell’ascolto perché chi la pratica si mette istintivamente da parte per far spazio al suo interlocutore. Così facendo, rispettando i tempi naturali di questa filosofia di lavoro, non quelli dettati dalla produzione, la storia va avanti fino a comporsi da sola.
Foto: “Adelante petroleros” (2013). In ascolto di alcuni rappresentanti della comunità indigena dei Sarayacu, in un piccolo emporio nell’amazzonia ecuadoriana.
93. CINQUANTAQUATTRO ANNI FA
“Che cosa possiamo fare noi gente di teatro? Alla mortificazione di non poter opporre, in momenti simili, un qualsiasi gesto utile, di fronte alla dolorosa impotenza del teatro, o piu’ ampiamente dell’arte, di fronte alla violenza e alla follia, l’artista puo’ solo sforzarsi di continuare a fare bene il proprio lavoro. “
Giorgio Strehler – 13 dicembre 1969
92. IL PROFUMO DEL TE’

Ho girato per due settimane dentro una bidonville di Colombo, per giunta mentre in Sri Lanka stava infuriando una sanguinosa guerra civile. Lì, ho conosciuto persone che pur vivendo senza risorse per assicurarsi i fabbisogni più elementari come acqua potabile, cibo e servizi sanitari, vivevano la loro vita con una forza di volontà invidiabile. E con dignità.
Ogni giorno infatti, qualche famiglia invitava me e i miei attori ( Virna Lisi e Murray Abraham) a prendere un tè nella sua baracca dove non c’era niente se non un fornello da campeggio, piatti e tazze di ferro, qualche stuoia per terra.
Ma c’era il profumo di quelle foglie di tè. Talmente inebriante e potente da cancellare i miasmi delle fogne a cielo aperto. Nella teiera venivano poi aggiunti dei cristalli di zucchero, un paio di chiodi di garofano e soprattutto un pizzico di polvere di peperoncino. L’infuso degli dei.
91. LA NEBBIA

La nebbia può penetrare dall’esterno e impossessarsi di te; può invaderti. Alla lunga e alta finestra della sua biblioteca, Joseph Adams rifletteva mentre guardava la nebbia. E siccome era sera e sul mondo stava scendendo il buio, quella nebbia lo spaventava quanto l’altra, la nebbia interiore che non invadeva ma si estendeva e si rimescolava riempiendo ogni parte vuota del suo corpo. Quasi sempre a quest’ultima nebbia si dava il nome di solitudine .
“La penultima verità” – Philip Dick
90. BLEU – Preproduction
“Il treno alla fine l’aveva scaricata a Cesena, da lì una corriera l’avrebbe portata fino a Sant’Agata Feltria paese che l’aveva vista nascere e dove, da bambina, il babbo la portava a vedere le commedie al Teatro Mariani. Nascere in un luogo fuori dal mondo che per uno scherzo del destino aveva un piccolo ma magnifico teatro settecentesco a tre ordini di palchi disposti a ferro di cavallo aveva irrimediabilmente segnato la sua adolescenza. Ogni spettacolo la commuoveva fino alle lacrime, le toglieva il respiro, gli attori che si muovevano pieni di maestria sul minuscolo palcoscenico non erano esseri umani ma divinità assolute, le battute le restavano impresse nella memoria per settimane, e alla fine giunse il giorno in cui, più per caso che per scelta, fu lei, quindicenne, a calcare quel palco.”
Da “BLUE” – Maggioli editore
89. TRE BAMBINI SULLA SILA (d’inverno)

“…l’organizzatore aveva scovato una famiglia di allevatori che possedeva una piccolissima televisione, arancione e cubica, con il sintonizzatore a rotella, alimentata attraverso i morsetti collegati a una batteria d’automobile, perché lassù, in quella isolata masseria nel cuore della Calabria più remota e gelida, non arrivava ancora la corrente elettrica. Il segnale dei ripetitori Rai era flebile. Si prendeva solo un canale, il primo. Nello schermo da quattordici pollici vagavano ectoplasmi in un mare di puntini in movimento, eppure ogni sera tutta la famiglia, con i tre bambini, si riuniva davanti a quel piccolo apparecchio per vedere il varietà con Raffaella Carrà e Alighiero Noschese, i grandi sceneggiati di Sandro Bolchi, e il Carosello con tutte le sue chimere al seguito. “
Da “La scelta – L’amicizia, il cinema, gli anni con Ermanno Olmi” – Vallecchi Editore
88. BUKHARA

Trovarsi di fronte un paesaggio così straordinario, qualcosa che rimanda subito a Le mille e una notte, regala un’emozione irripetibile. La città si chiama Bukhara, antichissimo snodo strategico sul tragitto chiamato da secoli Via della Seta, e si trova al centro di una delle zone più calde dell’Uzbekistan.
Qui hanno vissuto per tre anni Marco, Nicolò e Matteo Polo.
Fra Bukhara e Samarcanda sono inoltre state girate alcune scene del Marco Polo televisivo diretto nel 1982 da Giuliano Montaldo.
87. MARCO FERRERI
Marco Ferreri (Milano, 11 maggio 1928 – Parigi, 9 maggio 1997) è stato uno dei più grandi registi del cinema italiano. Scorbutico, burbero ma anche spiritosissimo e visionario, è stato il primo ad aver denunciato in quasi tutti i suoi film le sopraffazioni del patriarcato nonché l’ipocrisia della chiesa con la sua influenza invasiva nei rapporti famigliari. In poche parole dava fastidio e per questo fu ripetutamente osteggiato dalla censura.
86. RULLI, BOBINE, PIZZE

In questo cinema di Tangeri che ora non esiste più venne proiettato L’articolo 2 in occasione del Gran Gala del Cinema Italiano. Sennonchè il proiezionista montò i rulli* con un po’ di fantasia passando dal primo al quarto, dal secondo al quinto etc. Il film diventò così totalmente incomprensibile ma vissuto dal pubblico, nonostante tutte le complicatezze temporali, come un’opera d’avanguardia. Serata indimenticabile.
* I rulli indicavano l’esatta quantità di pellicola in una copia di un film a seconda della sua durata. La pellicola veniva poi assemblata dai protezionisti in un paio di bobine: primo e secondo tempo. Oggi un problema del genere non può più avvenire in quanto le bobine sono state sostituite dal file di proiezione del film chiamato DCP (Digital Cinema Package), o a volte nemmeno quello se la sala è organizzata per ricevere il file via streaming dalla distribuzione.
85. COLONNE SONORE

Il cinema è più vicino alla musica che al teatro o ai romanzi, diceva Robert Bresson. Il grande regista francese intendeva dire che la musica è la più astratta e immateriale di tutte le arti e per questo, se usata con discrezione, può (miscelandosi con gli effetti e le immagini) portare a risultati suggestivi, a volte perfino poetici. Vere e proprie sinfonie di suoni chiamate appunto colonne sonore con le quali lo spettatore viene rapito da mondi misteriosi, da essenze che scuotono ed emozionano. Se questo non avviene il cinema non regala alcuna magia.
M° Pino Donaggio per Il carniere
M° Alessio Vlad per Nour
M° Franco Piersanti per ‘O professore
M° Paolo Vivaldi per Fernanda
M° Vito Abbonato, Andrea Ridolfi, Raiz per Il sindaco pescatore
84. REFAAT ARAREER (1979 – 2023)

“Quando prevale l’oscurità mi siedo vicino alla finestra, per guardare oltre tutte quelle case senza elettricità, annusare il dolce profumo di una tranquilla notte a Gaza, sentire l’aria fresca che mi arriva dritta al cuore e pensare a te, a me, alla Palestina, alla crepa sul muro bianco, ancora a te, alla mamma, a te, alla mia lezione di storia, a te, a Dio, alla Palestina, alla nostra storia incompleta.”
Refaat Arareer era un poeta, scrittore e accademico palestinese, docente di letteratura inglese presso l’Università islamica di Gaza.
Giovedì 7 dicembre 2023, sessantunesimo giorno di guerra, è morto con tutta la famiglia nella casa di Gaza nord che non aveva voluto abbandonare, bombardata dai raid dell’IAF , Israeli Air Force.
“Siamo avvolti in spessi strati di polvere da sparo e cemento”. Aveva appena scritto in un post su twitter. Poche, scarne parole, per descrivere senza retorica l’inferno di Gaza. Le ultime.
83. COVID: BACK TO THE FUTURE
Ma il governo fa finta di niente. Si nasconde il problema perché impopolare ed è preferibile che di salute si parli il meno possibile.
82. SLUMS, BIDONVILLE, FAVELAS

Nelle centinaia di baraccopoli sparse sul pianeta ogni giorno mille bambini vengono al mondo con il virus Hiv ereditato dalla propria madre. Un terzo dei neonati non viene nemmeno registrato all’anagrafe e costretto suo malgrado a un limbo giuridico e sociale. Oggi quasi 1,4 miliardi di persone vivono in insediamenti non ufficiali: slum, didonville, favelas a seconda della lingua. Eppure anche lì, nonostante tutte le difficoltà, la vita va avanti e la speranza in un futuro migliore è incrollabile, basta vedere l’espressione di questa bambina, fotografata nella sua “casa” di Claypole (Buenos Aires sud).
81. BABAK

La persona che in questa istantanea sta con me in moviola è Babak Karimi, iraniano. Il più talentuoso fra i montatori che ho avuto.
Un bel giorno Babak ha deciso di troncare lì la sua carriera per dedicarsi ad altro: recitare. E così, poco dopo, eccolo sul palco della Berlinale a ritirare l’Orso d’argento come miglior attore, insieme a tutto il cast maschile, per il film Una separazione di Asghar Farhadi (2011).
Un uomo è grande quando sa dire basta a tante cose per rifondare in sé il significato stesso della vita, virare con forza il suo destino, dedicare il tempo ad un fine che non è solo fare bene il proprio lavoro ma soprattutto, visti i tempi, vivere con dignità e onestà lontano dai mercanti senza pudore, lontano da tutte quelle anime nere che con la loro arroganza hanno sempre inquinato il nostro lavoro.
80. IL POTERE. 1
La storia del castello di Vaux-Le-Vicomte racconta perfettamente cosa vuol dire POTERE e come lo si gestisce.
Venne fatto edificare da Nicolas Fouquet, sovrintendente alle finanze durante il regno di Luigi XIV, che non badò a spese per dare un segno della propria potenza, aspirazione e raffinatezza. Una volta terminati i lavori, il castello fu inaugurato il 17 agosto 1661 con una grande festa, alla quale partecipò anche il giovane Luigi XIV.
L’inaugurazione, caratterizzata da una sontuosa cena e da una pièce teatrale di Molière, suscitò l’invidia di numerosi ospiti illustri e del sovrano, che non apprezzò il fatto che un visconte possedesse una residenza più lussuosa della sua. il Re Sole condannò così il ministro alla prigione a vita e commissionò agli stessi artisti la realizzazione di una reggia ancor più maestosa, Versailles, che non avrebbe certo l’aspetto attuale senza l’esempio di Vaux-le-Vicomte.
79. AGUA CALIENTES

Questa fotografia è stata scattata alla stazione ferroviaria di Aqua Calientes (Machu Picchu, Perù), affollata di turisti che vanno e che vengono e altrettanti venditori di souvenir.
Fra questi quel giorno c’era lei, una sconosciuta ragazzina che vendeva monili d’argento. Scatto spesso fotografie alle persone attratto dall’espressione dei volti. A volte scambio con loro qualche battuta come nel caso di questa ragazza che mi chiese da dove venivo. Sporgendomi dal finestrino della carrozza le dissi dall’Italia e lei sorrise così, probabilmente senza sapere da che parte del mondo stava un Paese con quel nome.
78. LIBRI e CAFFE’

“Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico…”
da Centochiodi (2007) un film di Ermanno Olmi
77. VERDUN
Centinaia di migliaia di giovani, spesso giovanissimi soldati muoiono in guerra spinti a combattere da logiche di potere intrise di insensati valori patriottici, da politici inetti, da strategie belliche demenziali. Alla fine di tutto si erigono monumenti per gli alti comandanti che, a ben vedere, non hanno compiuto nessuna azione eroica ma sono solo dei criminali di guerra. E si fanno cimiteri senza fine, con le croci bianche per ricordare il sacrificio di tanti innocenti “figli della patria”.
76. BRIAN DE PALMA
“ Gli insegnanti delle scuole di cinema sono fuori dal giro e non dicono agli studenti come stanno le cose, questo è il problema. ”
Brian De Palma
75. GAZA. STATISTICHE

Secondo l’Unrwa, (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees) oltre l’80 per cento della popolazione nella Striscia di Gaza VIVEVA in condizioni di assoluta povertà. In base ai dati più aggiornati dell’Ufficio centrale di statistica palestinese (Pcbs), nella Striscia VIVEVANO oltre 2,2 milioni di persone. Quelle in povertà, quindi, sarebbero quasi 1,8 milioni. L’Unrwa spiega anche che alla fine del terzo trimestre del 2022 il tasso di disoccupazione nella Striscia di Gaza superava il 46 per cento, percentuale che saliva oltre il 60 per cento nella fascia di popolazione tra i 15 e i 29 anni di età. Per la POVERTA’ e DISOCCUPAZIONE bisogna ringraziare Hamas, per il VIVEVANO (ormai quasi 18.000 morti, 70% donne e bambini), Israele. Ma anche Hamas che usa il suo popolo come scudo umano. La demenza colpisce tutti, senza alcuna distinzione.
74. HARLEM

Mi piacerebbe tornare a New York ma quella che dico io dove i turisti non mettono mai piede perché pensano che sia pericoloso. Per esempio la New york che appare nei film di Spike Lee come “Jungle Fever” (1991) ambientato interamente tra Harlem e Bensonhurst (Brooklyn). Luoghi “neri” dove si possono fare incontri straordinari e magari ricordare battute che hanno fatto storia, come quella di Wesley Snipes: “Questa fissazione per il colore è incredibile. Insomma, ti metti lì a fissarmi e… Vedi la mia esperienza… Sai, sono stato chiamato come tutti “macchia”, “negro”, “sacco di pece”, “mezzanotte”, “carbone”: tutti i soprannomi più umilianti che si possano immaginare. E poi i bianchi mi vengono a dire che gli piace, che è una tinta molto forte, intensa… “
73. CLARENCE ODDBODY, ANGELO DI SECONDA CLASSE
È la vigilia di Natale del 1945. La piccola società di George Bailey è sull’orlo del fallimento e lui, sentendosi abbandonato da tutti, ha di fronte un’unica soluzione: il suicidio. Ma Dio decide di inviare un angelo custode per salvarlo. Di turno però, c’è solo Clarence Oddbody, “Angelo di Seconda Classe”, per giunta senza ali…
Diretto nel 1946 da Frank Capra La vita è meravigliosa (It’s a Wonderful Life) è considerato ancora oggi dei capolavori della storia del cinema.
72. FRANK CAPRA (1897 – 1991)

Quello con Frank Capra, uno dei registi più importanti della storia del cinema vincitore di ben tre premi Oscar, è stato uno degli incontri fondamentali della mia vita. Era il 1977 e alla mia ingenua domanda come si fa a diventare un regista lui mi mise una mano sulla spalla e disse semplicemente: Basta darsi da fare. Se le porte si sono aperte per me si possono aprire anche per te.
Se volte farvi un bel regalo acquistate la sua splendida autobiografia “Il nome sopra il titolo” perché, quando arriverete all’ultima pagina, vi troverete a credere che tutto è possibile.
71. GERUSALEMME

“Gerusalemme è oggi una città triste che appartiene sempre più ai coloni e agli ultraortodossi. Una città che divide, che emargina, che espelle. Guardo con angoscia e sgomento a ciò che Gerusalemme è diventata: la capitale del fanatismo, di un oltranzismo che ha cambiato i connotati della città. “
Avraham Burg, ex-presidente del parlamento israeliano (1999-2003)
70. COLORI

A volte – diceva Picasso – messi uno accanto all’altro i colori cantano.
69. DOGS & PRODUCERS

Interagire con i cani può avere effetti benefici: abbassa la pressione sanguigna e allevia lo stress . Interagire con i produttori può avere effetti nefasti: alza la pressione sanguigna e crea uno stress intenso. Soprattutto, come spesso succede, se sono insolventi.
68. I SEMI

“I semi sono l’inizio e la fonte di ogni vita; per milioni di anni i semi si sono evoluti in natura: piano piano si sono affermate le piante più resistenti e più generose. Ma i semi raccolgono dentro di sé, oltre agli anni di evoluzione naturale, anche tutti i cambiamenti che i contadini hanno ottenuto nel corso dei millenni grazie alla loro opera di selezione. Noi sappiamo che i semi possiedono la capacità di generare piante con caratteristiche sempre diverse per milioni di anni ancora. In un seme ci sono, insomma, passato e futuro.”
Vandana Shiva
67. BUGIE OCCIDENTALI
Gli economisti e i politici , soprattutto occidentali, raccontano una serie di mirabolanti bugie sul fatto che la causa di tutto ciò è solo e squisitamente “tecnica”, cioè provocata dalle crisi economiche e ambientali dei paesi più poveri e che tutto potrebbe essere risolto se questi adottassero piani di intervento mirati a risolvere il problema che li attanaglia. Dicono anche, è questa è la più bella delle storielle, che la povertà sarà completamente debellata non più tardi del 2030 e con essa lo squilibrio economico globale.
Quello che invece non dicono è che l’ unico rimedio sarebbe un rapporto il più possibile collaborativo tra Paesi ricchi e poveri al posto del costante e sempre più spregiudicato sfruttamento dei ricchi sui poveri. Vecchia utopia.
Carlo Levi “Lucania ’61”. Palazzo Lanfranchi, Matera.
66. IL LACCHE’

Lacchè [lac-chè] s.m. inv. • Domestico che seguiva o precedeva a piedi la carrozza del padrone; in senso spreg., persona esageratamente servile • sec. XVI
Il lacchè è uno strano individuo. Viscido e ossequioso come Hurriah Heep, di Dickens, il lacchè non si pone alcun problema etico o morale, mai. Ti sorride, ti batte una manata sulla spalla, ti vuole sempre offrire un caffè e di norma parla malissimo di tutti.
A volte il lacchè viaggia munito perfino di micro-registratore magari nascosto in una piccola penna agganciata al taschino, un bottone, una spilla. Tu parli e lui registra. Il lacchè è ipocrita per natura, ma appunto per questo va usato bene. Lui crede di fare la soffiata per ingraziarsi il padrone di turno e invece fa quello che vuoi fargli fare. Vuoi far uscire dalla tua vita chi ti è ormai insopportabile? Usa un lacchè, mandalo dritto al bersaglio. Ovviamente il potente, che per essere tale deve per forza essere arrogante e senza scrupoli, penserà d’essere stato lui a “eliminarti” ma in realtà è il contrario. Sei tu che hai lavorato per la tua “estinzione” . Non è una cosa da poco questa differenza.
65. IL PANE

S’io facessi il fornaio vorrei cuocere un pane cosi grande da sfamare tutta, tutta la gente che non ha da mangiare. Un pane più grande del sole, dorato, profumato come le viole. Un pane cosi verrebbero a mangiarlo dall’India e dal Chilì i poveri, i bambini, i vecchietti e gli uccellini. Sarà una data da studiare a memoria: un giorno senza fame! Il più bel giorno di tutta la storia!
Gianni Rodari
64. IL PREMIATO INQUADRATURICIO

Creare un film ha sempre avuto a che fare con troppa gente, con troppi interessi, ma non per questo si può tollerare l’intollerabile come avere a che fare con produttori grossolani, spesso insolventi o, peggio ancora, con chi ti costringe a mettere in scena storie nel minor tempo possibile riducendo così il set ad un inquadraturificio. Ogni film chiede invece dignità, un buon finanziamento, un tempo di lavorazione adeguato e tanta dedizione.
63. UN GIORNO A DEHRADUN

Non conosco il nome di questo bambino. Mi ricordo solo d’averlo visto così, affacciato alla porta, incuriosito da tutta quella gente strana che stava girando un film proprio davanti a casa sua. Ho scattato e da allora questa immagine è sempre rimasta con me perché racconta tante cose, soprattutto la dolcezza di un sorriso che manifesta tutta la sua fiducia nel mondo. Un giorno senza un sorriso è un giorno perso diceva Charlie Chaplin. Forse quel bambino, che avrà avuto si e no cinque o sei anni, ne era perfettamente consapevole.
Dehradun, capitale dell’Uttarakhand, India. (2009)
62. IL CINEMA DEGLI ULTIMI

Da sempre il cinema ha raccontato storie di poveri e povertà, un genere che i critici hanno etichettato come “Social Realism”, che tratta esclusivamente la classe operaia, gli esclusi, gli emarginati, le comunità senza speranza, le esistenze senza via di uscita e via così. Il problema è che in quasi la maggior parte di questi lavori didascalismo, negatività nonché pessimismo diventano prevedibili. Tranne nei film di Ken Loach che spesso inventa un lieto fine per i suoi indimenticabili protagonisti. Lo fa splendidamente in Piovono pietre (1993) ma anche nel suo, purtroppo, ultimo capolavoro “The old oak”.
Ora che ha deciso di ritirarsi a vita privata sentiremo eccome la mancanza di un narratore come Loach, ci mancherà la sua voce, i suoi appelli alla solidarietà e alla tolleranza, i suoi ritratti delle periferie, ci mancheranno i suoi film sempre in bilico fra documentario e finzione.
“Per girare devi stare via un anno o giù di lì: sarebbe meschino lasciare sola mia moglie tanto tempo a questa età. Se cominciassi ora – fra ricerche, casting, riprese, montaggio – sarei pronto per il mio novantesimo compleanno… No, via, bisogna essere realisti: mantenere le energie fisiche ed emotive è abbastanza difficile. Sono tempi bui, vero? Bui e complessi, comunque io credo che ci siano sempre possibilità. Davvero. Continua ad aumentare il tasso di sfruttamento, c’è un incremento costante della povertà e, per giunta, ci troviamo di fronte alla catastrofe, al disastro climatico. È spaventoso, eppure non senza speranza. L’importante è restare nella stessa squadra. “
61. I 35MM DI KEN LOACH

Come si può capire da questa istantanea dal set di Ken Loach “The old oak” il film è stato girato in 35mm, con la fotografia dell’irlandese Robbie Ryan (l’esposimetro al collo). Vedere sullo schermo la grana della pellicola fa rivivere i tempi in cui le immagini erano più umane, meno plastificate rispetto al digitale. Oggi la bellezza della profondità del colore, dovuta appunto alla struttura granulare della pellicola più o meno sensibile, è pressochè inesistente. Ma il digitale, almeno per i ragazzi che vogliono cominciare a fare cinema, regala una libertà che prima ci sognavamo: l’indipendenza dai produttori ai quali oltretutto la profondità del colore non è mai interessata.
“The Old Oak è un posto speciale. Non è solo l’ultimo pub rimasto, è anche l’unico luogo pubblico in cui la gente può incontrarsi in quella che un tempo era una fiorente località mineraria e che oggi attraversa momenti molto duri, dopo 30 anni di ininterrotto declino. Il proprietario del pub, TJ Ballantyne (Dave Turner) riesce a mantenerlo a stento, e la situazione si fa ancora più precaria quando The Old Oak diventa territorio conteso dopo l’arrivo dei rifugiati siriani trasferiti nel villaggio.”
60. ROBERTO TATTI

In rete non c’è praticamente nulla su quest’uomo se non una scarna filmografia eppure era un grande aiuto-regista, il migliore che ho avuto per dieci indimenticabili anni fino al 5 maggio 2005, ultimo giorno di un’esistenza generosa, vissuta quasi sempre sui set. Si chiamava Roberto Tatti.
Ho scattato questa fotografia mentre stavamo girando l’episodio Dagli Appennini alle Ande a Uspallata, remota località argentina conosciuta dai rocciatori diretti verso il Puente del Inca, punto d’accesso all’Aconcagua, e dai cineasti. Lì infatti è stato girato anche Sette anni in Tibet.
59. LA PESTE 2.0

“Quanto già era stato disseminato non tardò a germogliare per l’imperfezion degli editti, per la trascuranza nell’eseguirli, e per la destrezza nell’eluderli. La peste andò covando e serpendo lentamente, tutto il restante dell’anno, e ne’ primi mesi del susseguente 1630. Di quando in quando, ora in questo, ora in quel quartiere, a qualcheduno s’attaccava, qualcheduno ne moriva: e la radezza stessa de’ casi allontanava il sospetto della verità, confermava sempre più il pubblico in quella stupida e micidiale fiducia che non ci fosse peste, né ci fosse stata neppure un momento.
Molti medici ancora, facendo eco alla voce del popolo (era, anche in questo caso, voce di Dio?), deridevan gli augùri sinistri, gli avvertimenti minacciosi de’ pochi; e avevan pronti nomi di malattie comuni, per qualificare ogni caso di peste che fossero chiamati a curare; con qualunque sintomo, con qualunque segno fosse comparso. […] Ma sul finire del mese di marzo cominciarono, in ogni quartiere della città, a farsi frequenti le malattie, le morti […].
I medici opposti alla opinion del contagio, non volendo ora confessare ciò che avevan deriso, e dovendo pur dare un nome generico alla nuova malattia, divenuta troppo comune e troppo palese per andarne senza, trovarono quello di febbri maligne, di febbri pestilenti: miserabile transazione, anzi trufferia di parole, e che pur faceva gran danno; perché, figurando di riconoscere la verità, riusciva ancora a non lasciar credere ciò che più importava di credere, di vedere, che il male s’attaccava per mezzo del contatto”.
Alessandro Manzoni – I promessi sposi
58. DAVID MAMET

AGLI SCENEGGIATORI:
Smettete di scrivere montagne di merda. Scrivete scene commoventi di tre, quattro, sette minuti che portino avanti la trama e potrete, molto presto, acquistare una casa a Bel Air.
Ricordate che state scrivendo per un mezzo visivo. I movimenti di camera possono spiegare le cose al posto vostro. Lasciate che lo facciano! Cosa stanno facendo – letteralmente, i personaggi? Cosa stanno maneggiando, cosa stanno leggendo? Cosa guardano in televisione, cosa vedono?
Se fingete che i personaggi non possano parlare, se scrivete come se steste scrivendo un film muto, vi uscirà una forte tensione narrativa. Se vi private della stampella dei dialoghi, sarete obbligati a lavorare con un mezzo nuovo, ovvero il raccontare la storia per immagini.
È una abilità nuova, nessuno lo fa naturalmente. Potete allenarvi a farlo, ma dovete iniziare. Chiudo con un pensiero: guardate la scena e chiedetevi: “è drammatica? è essenziale? fa avanzare la trama?”.
Chiedetevelo onestamente.
Se la risposta è “no” riscrivetela o eliminatela.
Dave Mamet
David Mamet è uno scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, regista teatrale e cinematografico statunitense, nato a Chicago il 30 novembre 1947. Intrecci foschi, talvolta kafkiani, un umorismo graffiante e una forte carica drammatica, personaggi segnati dal destino e un linguaggio realistico, spesso crudo (per il quale i critici hanno coniato il termine mametspeak) sono i tratti distintivi dei testi scritti da M., sia per il cinema sia per il teatro.
57. CACCIA ALLA BALENA

Ti senti uomo, tu, da piantare un rampone giù per la gola di una balena viva e poi saltargli dietro?
Herman Melville, Moby Dick
Dal 1986 esiste una legge internazionale che vieta la caccia alle balene. Nonostante ciò in Islanda si continua lo sterminio. Solo negli ultimi due mesi sono state uccise 145 balenottere fra le quali anche anche 11 femmine incinta e una in allattamento, con il suo cucciolo.
Tutti insieme possiamo fare tanto: firmare le petizioni online o inviare un’email al governo islandese per esprimere la nostra opinione riguardo questo massacro. L’attivismo funziona. Dimostriamo al Parlamento islandese che siamo contrari alla caccia alle balene scrivendo al governo, ufficio del primo ministro, signora Katrin Jakobsdottir: pmo@pmo.is oppure mandandole un messaggio su Instagram al suo account: katrinjakobsd.
56. IL SALE DELLA TERRA

Nessuno è il sale della terra.
Ognuno in qualche momento della sua vita lo è.
Jorge Luis Borges
55. LONDRA. 84 CHARING CROSS ROAD

“Amo le dediche sulla prima pagina e le note a margine, mi piace il sentimento fraterno che si prova sfogliando pagine che qualcun altro ha già sfogliato. Leggendo passaggi che qualcun altro, magari da tempo scomparso, ha voluto segnalare alla mia attenzione.” Helene Hanf
Trovarsi all’improvviso davanti al luogo che ha ispirato Helene Hanff, autrice di “84 Charing Cross“ poi diventato un film bellissimo regala un’emozione impagabile. Peccato che nel frattempo la famosa libreria Marks & Co. sia scomparsa, come purtroppo Anne Bancroft che insieme ad Antony Hopkins ha dato vita a un formidabile duetto di attori. Vivamente consigliato a chi non l’ha mai visto (è su Netflix) né letto (pubblicato da Orizzonti 3).
54. MLEETA RESISTANCE TOURIST LANDMARK
A circa 70 chilometri da Beirut, in cima a una remota collina (dove dal 1985 al 2000 la resistenza libanese ha combattuto l’avanzata dell’esercito israeliano ricorrendo alla guerriglia e al sabotaggio) c’è il museo di Hezbollah.
Con ricostruzioni artistiche dei campi di battaglia fra macerie, veicoli corazzati, elementi di artiglieria, equipaggiamento militare e perfino un rifugio e una galleria sotterranea con vari esempi di vita nella clandetinità, il sito non è solo un inno alla resistenza ma anche alla propaganda della Jihad, la guerra santa che i leader hezbollah hanno sempre concepito con doppio significato: difesa della terra e lotta interiore per mantenere la rettitudine spirituale dell’islam.
53. DOPO UNA GUERRA

Dopo una guerra un Paese si ricostruisce, si tenta di dimenticare la catastrofe ma non è così per un bambino. La sindrome di rassegnazione è, in questi casi, il disturbo più frequente che colpisce i piccoli sopravvissuti a un conflitto. Il bambino cade infatti in uno stato di torpore, incapace di rispondere a qualsiasi stimolo: meglio ritirarsi dal mondo piuttosto che rivivere l’orrore.
Un giovane papà: “Guardando i miei figli negli occhi ogni minuto, posso vedere le domande che hanno: sono alla ricerca di risposte, di rassicurazioni sul fatto che tutto andrà bene e di un barlume di speranza per un futuro migliore. Io, come ogni genitore, sento la profonda responsabilità di fornire loro questo senso di sicurezza e speranza. Tuttavia, la realtà della nostra situazione attuale è straziante. Per la prima volta, mi ritrovo a desiderare di essere una roccia, incapace di farsi scalfire e resistente al dolore. Vorrei avere dei superpoteri, come gli uccelli, per fuggire da questa striscia di terra con la mia famiglia, in cerca di un rifugio. Vorrei essere un supereroe, per portare via i miei figli a vivere in pace”.
Ipotizziamo ora che almeno la guerra fra Israele e Hamas sia terminata. Come possono vivere, studiare, giocare tutti questi bambini in un territorio che è stato raso al suolo? Dove sono? Cosa fanno ogni giorno?
La Striscia di Gaza si affaccia sul Mediterraneo. In questa sottile fascia di terra di appena 40 chilometri per 9, stretta tra l’Egitto, Israele e il mare, erano assiepate 2,1 milioni di persone, il 47 per cento erano bambini.
52. LA LUCCICANZA LOCALE

Sembra la fotografia della sequenza finale di “Shining” invece è un’immagine della festa di capodanno del 1930 al Teatro Sociale di Novafeltria (Rn). Ancora oggi la si può vedere nel foyer ed è, a mio parere, altrettanto inquietante.
51. L’INDIA DI ROBERTO ROSSELLINI. 1

Una voce gira da tempo per le redazioni di Bombay: la più famosa star del cinema mondiale, Ingrid Bergman, sta per arrivare in India accompagnata dal marito, il regista italiano Roberto Rossellini che però, a quelle latitudini, non è così conosciuto come l’attrice svedese.
La mattina del 16 dicembre 1956, giornalisti, fotografi e cineoperatori accorrono sotto l’aereo dell’Air France appena atterrato all’aeroporto Santa Cruz.
Il primo ad apparire in cima alla scaletta è Roberto Rossellini che, nel vedere quel tripudio di flash che esplodono, scuote le mani in un saluto da campione del mondo di boxe. Alle sue spalle compare un uomo alto e smilzo: l’operatore Aldo Tonti. Intanto i giornalisti invocano a gran voce Ingrid Bergman, ma della diva nemmeno l’ombra. La domanda allora si fa incalzante: dov’è la Bergman? Chi è quello sconosciuto vestito di bianco che applaude gli stessi giornalisti? Il signor Bergman, insinua qualcuno. Lo sconcerto raggiunge il culmine quando, sceso l’ultimo passeggero, è ormai chiaro che il tanto strombazzato arrivo della Bergman in India è solo una frottola. Dallo sconcerto passare alla delusione è un attimo. I giornalisti se ne vanno infuriati. Rossellini e Tonti restano da soli sulla pista. Poi finalmente qualcosa succede: un giovane, i capelli corvini pettinati all’indietro, corre verso la coppia. “Kittu… carissimo Kittu!” esclama Rossellini che lo conosce bene fin dai tempi in cui il ragazzo frequentava i suoi corsi di cinema, al Centro Sperimentale di Cinematografia. Il giovane s’inchina: – Benvenuto in India, signor Rossellini! C’è la macchina della Film Division che l’attende…-
– Bravo Kittu, ho un sacco di cose da raccontarti. Voglio vedere tutto del tuo Paese, voglio camminare per Bombay, perdermi fra la gente…-
dal soggetto di “Stregato dal suo fascino” (2016) ©
50. VITA

“Forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto l’avesse mai amata. Non solo la sua vita: la vita di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevano erano le stesse risposte che noi tutti vogliamo: “Da dove vengo?” “Dove vado?” “Quanto mi resta ancora?”.
“Blade Runner” di Ridley Scott
49. SARDEGNA 1

Le solitudini coperte di asfodeli della montagna, e Aritzo e Tonara e Nuoro, verso la misteriosa Sardegna di Orgosolo, di Oliena di Orune, dei paesi di pastori, che mi parevano ancora avvolti in un’ombra lontanissima.
Carlo Levi
48. PATRICIA GUALINGA MONTALVO

“Quello che mi dà la forza di lottare è sapere che lo sto facendo non solo per il popolo indigeno, non solo per la mia gente, ma per tutta l’umanità, perché l’Amazzonia è un bene prezioso che va protetto”.
47. MEDITERRANEO 2

“A un certo punto della sera e del mattino l’azzurro del Mediterraneo supera ogni immaginazione o descrizione. È il colore più intenso e meraviglioso, credo, di tutta la natura.“
CHARLES DICKENS
46. CAMBIAMENTI CLIMATICI

Questa cartina non nasce della fantasia di un cartografo mattacchione, bensì da uno studio sugli effetti del cambiamento climatico dove, fra la fusione delle calotte polari e il conseguente innalzamento dei mari, la geografia e la nostra stessa esistenza potrebbero cambiare radicalmente. Non è un cambiamento che può avvenire dall’oggi al domani, ma avverrà se non troveremo il modo d’invertire la rotta. Secondo i dati del Centro Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC) quello che sta succedendo non ha precedenti nella storia del nostro pianeta. Un primo effetto incontrovertibile di questo processo è l’aumento delle temperature: l’analisi dei dati misurati dalle principali reti di osservazione ha permesso di registrare un incremento di oltre 1, 56° C della temperatura media in Italia. Le previsioni di aumento di temperatura fra il 2050 e il 2100 prevedono scenari ancora più drammatici (2,5° / 3° ) per aumentare oltre i 6° C dopo il 2150. La regione mediterranea in particolare è considerata uno degli “Hot Spot” del cambiamento per la sua tendenza a trasformarsi in zona tropicale.
Nonostante queste previsioni i potenti sembrano preoccuparsi solo dei “flussi migratori”: qualche migliaio di profughi e rifugiati che solcano il mare per raggiungere l’Europa. Entro breve invece il vero esodo biblico sarà il nostro. Saremo noi gli immigrati alla ricerca di accoglienza e salvezza. Già nel 2018, l’allarme lanciato dall’E.N.E.A. (ente pubblico di ricerca italiano che opera nei settori dell’energia e dell’ambiente) ha messo in evidenza le nostre aree costiere a rischio. Nel rapporto si parla di arretramenti di spiagge e aree agricole per decine di chilometri quadrati. Per non parlare di quello che succederà nell’alto Adriatico, fra Trieste, Venezia e Ravenna, o a sud, nel golfo di Taranto e nell’intera Sicilia, in un futuro non troppo lontano..
45. KALKSTEIN- LA VALLE DI PIETRA – 30 YEARS ANNIVERSARY

Nell’Ottocento, in Boemia, durante un pranzo in casa di un prete, un agrimensore che lavora per l’impero austro-ungarico conosce l’anziano parroco di una contrada non lontana, e nota che, nonostante i poveri abiti, indossa eleganti polsini di merletto che cerca sempre di nascondere. Passano 8 anni, e all’agrimensore viene dato dal governo un nuovo incarico, per cui, allontanatosi dalla famiglia, raggiunge in carrozza la “Conca di pietra”, fatta di grige rocce brulle, che si sfaldano giù nel fiume. Accolto dall’efficiente assistente, l’agrimensore, iniziati i rilievi necessari fra le colline franose, incontra quell’anziano parroco che aveva conosciuto tanti anni prima, che ammira il paesaggio, pur così privo di alberi, perché “le rocce raccolgono la luce”. Da allora i due si vedono spesso, anche nella canonica, povera ma pulitissima. Una sera d’estate, l’agrimensore, sospeso il lavoro, viene invitato dal prete. Scoppia però un temporale fortissimo e i due uomini, al solo lume di una candela, restano a lungo in silenzio, poi cenano. Più tardi il parroco offre all’ospite un letto per la notte, e questi scopre che il prete abitualmente dorme sopra una cassapanca, col capo appoggiato su di una Bibbia. L’agrimensore, stupito, ripensa al bianchi polsini di pizzo del sacerdote. Al mattino, quando parte, vede il prete immerso nell’acqua della Conca per aiutare i bambini del paese a passare un ponticello semisommerso, e si unisce all’opera di soccorso. Preso dal lavoro, l’agrimensore dimentica il parroco per qualche tempo, poi viene a sapere che è malato ma non vuole medico, né medicine, guarirà se Dio vorrà. In una delle sue visite al malato, questi gli affida la copia del proprio testamento, poi gli racconta di essere figlio, insieme a un fratello gemello, dell’agiato e onesto proprietario di una conceria di pelli, e lo rende partecipe del suo più grande segreto…
“In questi nostri anni di crisi delle ideologie, il ritorno a una letteratura di cristallini sentimenti (non di sentimentalismo) e di amore per gli umili ha un suo indubbio significato. Certo, portare sullo schermo ‘Kalkstein’ (cioè ‘La pietra calcarea’) era impresa rischiosa. In questa novella accade molto poco, mentre ciò che conta è lo stato d’animo dei personaggi, il mondo in cui si cala la loro vita e il valore che essi le danno. (…) Il film ha il respiro lieve della novella di Stifter rielaborata cinematograficamente senza tradirla, e anzi facendone occasione per esprimere attraverso di essa l’intero mondo poetico e spirituale dello scrittore. Zaccaro conduce il film con rara delicatezza, attento alle piccole cose, ai piccoli gesti, e con la capacità di dare un’anima al paesaggio che non è mai soltanto scenografia, occasione decorativa, ma diventa anch’esso personaggio. In tempi di banalità televisiva o di effettistica spettacolarità cinematografica, film come quello di Zaccaro ci ricordano quanto il film possa essere poesia e aiutarci a ritrovare la giusta direzione del vivere.” (Ernesto G. Laura, ‘La Discussione’, 19 ottobre 1993)
44. UNA GRANDE ESTATE. 1


43. BIX BEIDERBECKE E GLI ALTRI NEL 2024

Fra pochi mesi la musica di grandi artisti diventerà di pubblico dominio, cioè libera da copyright, e utilizzabile da tutti. Anche come colonna sonora dei film contemporanei. E’ il caso di molti pezzi di B ix Beiderebecke and the Wolverines fra i quali il mitico “Copenhagen”, registrato nel 1924. Ma anche la famosissima “Rhapsody in blue” di George Gershwin e perfino l’ultima opera di Puccini, “Turandot”.
42. THE CUCKOO CLOCK
“Il terzo uomo” (1949): con la magistrale sceneggiatura di Graham Green, Carol Reed e Orson Welles.
41. GLI IMMORTALI

Il fascino che emanano le foto dell’800 e degli inizi del ‘900 deriva dal fatto che documentano un tempo diverso dal nostro. Con la nascita della fotografia (1839) per l’uomo inizia una nuova epoca. I primi fotografi immortalano piazze, strade, carrozze e cavalli, ma soprattutto le persone. Immagini che per noi, oggi, sono preziose: una straordinaria macchina del tempo. Come questa fotografia (volutamente non restaurata) scattata nel 1923, un secolo fa. Ritrae mio padre a 3 anni, sua sorella (5 ) e mia nonna (31)
Al di là del legame familiare penso che sia un’immagine che non illustra solo un tempo che si perde nel buio di secoli remoti ma un vicinissimo passato in cui, grazie a questa bella fotografia, queste tre persone sono diventate immortali.
40. C.C.T. CENTRO CINEMA E TEATRO. 1

La comunicazione visiva è l’industria pesante del nostro tempo. Lavorare per la comunicazione vuol dire sapersi esprimere secondo diversi linguaggi e tecnologie. La nostra peculiarità sarà appunto questa: una continua, voluta contaminazione fra generi e tecniche. A sostegno di tutto ciò tre colonne portanti:
LIBERTÀ D’ESPRESSIONE – CONSAPEVOLEZZA DELLA PROPRIA ENERGIA CREATIVA – CONOSCENZA DEI MEZZI E DEI MODI ATTRAVERSO I QUALI METTERE IN PRATICA LE PROPRIE IDEE
Utopia? No, semplicemente un luogo dove i giovani possano allenare la loro creatività e al tempo stesso avvicinarsi ad un mestiere, che sia quello dell’attore come quello del narratore (regista o sceneggiatore), o del tecnico cinematografico. La differenza sostanziale fra un normale laboratorio, o scuola di arti visive e il nostro Centro è l’atmosfera immediatamente percepibile: più quella della bottega artigianale piuttosto che di una blasonata, quanto asettica accademia.
Il termine bottega può sembrare obsoleto, tuttavia riveste ancora un’ineludibile importanza nella formazione dei giovani, in tutti i settori. Oggi va più di moda la parola stage (presa in prestito dal vocabolario francese per indicare un periodo di tirocinio formativo) ma fra stage e bottega la differenza è abissale.
Tanti giovani frequentano stage sui vari set cinematografici o televisivi; guardano, cercano di capire il lavoro che si svolge freneticamente sotto il loro sguardo, ma nessuno su quei set, si preoccupa di spiegare loro quello che in realtà sta succedendo anzi, spesso questi giovani non riescono nemmeno a stare vicino al regista o al tecnico di riferimento, ma vengono spediti a destra e a manca per tamponare improvvisi bisogni di produzione. Da stagisti eccoli allora trasformati in runners, in poche parole “galoppini” del set. Risultato: lavorano, sudano, non vengono pagati (se non con un “cestino” per pasto) e alla fine delle settimane di lavorazione non hanno imparato assolutamente nulla. Al massimo, se non hanno rotto troppo le scatole con stravaganti richieste, se non si sono lamentati, se sono stati efficienti, saranno richiamati per un altro lavoro.
La bottega invece è tutt’altro. Un luogo dove il rapporto è di uno a uno: l’artigiano e l’apprendista. Il primo con la sua arte data dal tempo e dall’esperienza acquisita, il secondo con la sua volontà d’apprendimento e la sua naturale, giovanile voglia di mettersi in gioco.
39. MEDITERRANEO 1

“Che cos’è il Mediterraneo? È mille cose al tempo stesso. Non un paesaggio ma innumerevoli paesaggi. Non un mare ma una successione di mari. Non una civiltà ma una moltitudine di civiltà ammassate l’una all’altra. Il Mediterraneo è un crocevia antico. Da millenni tutto è confluito verso questo mare, scompigliando e arricchendo la sua storia.”
FERNAND BRAUDEL, storico
38. PER IL CINEMA

Purtroppo costa più di cento euro ma, con le sue 3500 pagine divise in due volumi, li vale tutti per i preziosi materiali che contiene, alcuni anche inediti: sceneggiature, commenti per documentari, idee, soggetti, trattamenti, “confessioni tecniche” e altro, interviste e dibattiti sul cinema, note e notizie sui testi, bibliografia, filmografia e tanto altro ancora.
Pasolini Pier Paolo; Siti W. (cur.); Zabagli F. (cur.)
37. POTENTI, TOPI E PUTTANE

E’ inutile perdere tempo per convincerli. I produttori oggi sono figure sbiadite che si agitano dietro un gobelin da teatro. Sfocati, distanti, praticamente inutili. Un giovane che vuole esordire nella regia ha altre strade a disposizione, non è più il tempo di mettersi lì, come un mezzadro con il cappello in mano davanti al padrone . E’ tempo invece di essere produttori di se stessi. Non esistono altre scappatoie quando la nave affonda. Se vogliamo metterci in salvo occorre saper nuotare perché le scialuppe di salvataggio sono già affollate dai potenti, dai topi e dalle puttane, tanto per citare Vladimir Majakovskij che di queste cose era pratico.
36. ACCOGLIENZA

“Cos’è più importante dell’accoglienza? Cosa? La sacralità dei simboli? Il simbolo deve rimandare ad una realtà di carne per avere valore. Non è possibile che ci genuflettiamo davanti ad un Cristo di cartone o di legno e poi non abbiamo solidarietà per chi soffre.”
Ermanno Olmi
35. LONG TAKE O REALTA’ SENZA INTERRUZIONI
i
Questo è il magnifico piano sequenza di Robert Altman per i titoli di testa di “The player” (1992). 8 minuti e 47 secondi ineguagliabili. A fare altrettanto forse c’è riuscito solo Damian Chazelle per la sua sequenza d’apertura di “La la Land” (2016) Lui però non lo definisce come long take bensì realtà senza interruzioni.
34. PUCK

“Possedevo un cane che mi avevano regalato cucciolo […]. Un cane raro nella sua specie, del quale avevo fatto il mio compagno, il mio amico, e che certamente meritava quel titolo meglio della maggior parte di quanti l’hanno assunto.”
Jean-Jacques Rousseau, Le confessioni
33. MUSEO DEL CINEMA TORINO. TESTO PER IL PREMIO PROLO 2023 A MAMADOU KOUSSI

C’è un’inquadratura in “Nour” (2019) in cui la giornalista mandata ad intervistare il medico di Lampedusa raccoglie da terra, sul molo Favaloro, una logora fotografia scivolata fuori da uno zainetto abbandonato. E’ l’istantanea di una famiglia: tre bambini, il padre, la madre in djellaba. Gli affetti di chi, durante un caotico sbarco, ha dimenticato o perso lì le sue cose? Può darsi.
Ma c’è qualcosa di più. Quell’immagine ritrae sì una famiglia ma sono i protagonisti di un mio precedente film “L’articolo 2” (1994) dove raccontavo un’altra storia d’immigrazione. Quindi un aggancio intenzionale fra le due trame che in quel frammento di pochi secondi si fondono una nell’altra come a dire: nonostante siano passati trent’anni non è cambiato proprio un bel niente! Lo specchio di un fallimento.
“L’articolo 2” si chiama così perché fa riferimento alla nostra costituzione:“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…”
Mi piace pensare che i registi, e non sono pochi, che poi si sono avventurati su questo impervio percorso narrativo, cioè raccontare “gli altri”, abbiano in qualche modo tentato di ricordare al pubblico quell’articolo, quelle parole spesso ignorate; perché parlare di diritti inviolabili dell’uomo non è solo una questione italiana ma universale, come racconta il film di Matteo Garrone. Non a caso infatti chi fa un film su questo argomento sente poi la necessità di ricalcare le sue stesse orme per approfondire o quantomeno aggiornare il suo discorso: da “L’Articolo 2” a “Nour” infatti, da “Vesna va veloce” (1996) a “La giusta distanza” (2007) di Carlo Mazzacurati, da “Terra di mezzo” (1996) e “Ospiti” (1998) a “Io, capitano” (2023), tutti di Garrone.
C’è però una differenza fra il prima e il dopo. Nei film degli anni novanta nessuno raccontava gli immigrati in viaggio, o in transito, ma piuttosto individui che, già giunti a destinazione, chiedevano d’essere inseriti in una società che non era la loro. Poi la crescita esponenziale delle vite scomparse nel Mediterraneo ha provocato un radicale cambio d’interesse, a cominciare da tutti i valori, i sogni che ogni “viaggiatore” porta con sé, proprio come quelli dei migranti che dall’Italia ma anche da altri stati europei raggiungevano l’America su imbarcazioni che a malapena riuscivano ad attraversare l’Atlantico.
Il film svedese di Jan Troell “Karl e Kristina” (1971) racconta perfettamente quell’epoca. Come non ricordare quindi che uno dei più grandi registi di sempre, narratore di uomini onesti dalle speranze incrollabili, vincitore di ben tre premi Oscar, era italiano poi naturalizzato statunitense: Francesco Rosario Capra. Un ragazzino partito con la famiglia da un paese della Sicilia per Los Angeles come i due giovani cugini senegalesi Seydou e Moussa, raccontati con coraggio da Mamadou Koussi, cercano di raggiungere l’Europa.
Maurizio Zaccaro
novembre 2023
32. RICORDANDO ETTORE MO
Addio all’amico Ettore Mo, giornalista e straordinario reporter di guerra. Nel 1996 stavo preparando IL CARNIERE. Dopo aver visto questo filmato (qui solo un estratto) di Mixer del 1995, mi ispirai proprio a lui per raccontare il personaggio dell’inviato speciale a Sarajevo interpretato da Leo Gullotta che per quel ruolo vinse il David di Donatello. (La voce narrante del filmato è di Milena Gabanelli che in quei giorni era con Ettore Mo in Cecenia)
31. IL MONDO ALLA FINE DEL MONDO

Penso spesso a questo bellissimo progetto, tratto dall’omonimo libro di Luis Sepulveda, purtroppo naufragato come spesso succede quando non si riesce a trovare i finanziamenti adeguati e le giuste alleanze produttive. La storia, spettacolare e importante al tempo stesso, era questa:
Il 16 giugno 1988 un inquietante messaggio proveniente dal Cile approda in un’agenzia giornalistica di Amburgo legata a Greenpeace: la nave officina giapponese Nishin Maru, comandata dal capitano Tanifuji ,ha subito gravi danni in acque magellaniche;si registra la perdita di diciotto marinai, insieme a un numero imprecisato di feriti. È l’inizio dell’avventura. Il protagonista,un giornalista cileno esule dal suo paese per motivi politici, grazie a febbrili ricerche e ingegnose congetture giunge alla conclusione che il Nishin Maru stava praticando illegalmente, e del tutto impunito, la caccia alle balene nei mari australi. Una giovane attivista di Greenpeace, inoltre, lo mette in contatto telefonico con un misterioso personaggio, il capitano Jorge Nilssen, che di tutta la faccenda sa senz’altro qualcosa in più… In queste pagine il lettore potrà ascoltare il grido indignato – ma anche il canto ammaliatore– della natura ferita, la protesta contro una cieca follia di cui pure l’uomo rimane vittima. Il «mondo alla fine del mondo», questo lembo estremo del pianeta, si trasforma, simbolicamente, nel luogo dell’apocalisse. Ma può anche essere l’universo in cui l’uomo ritrova l’unione con le proprie origini, l’armonia con gli elementi e, soprattutto, un anelito indistruttibile alla speranza.
30. ANNE PERRY

“Se dovessimo venire trascinati in una guerra europea, ogni famiglia in Inghilterra sarebbe in lutto e non solo per la perdita di nostri cari ma di un intero stile di vita che apprezziamo e alimentiamo da un migliaio di anni. (da Alto tradimento” — Anne Perry
Ann Perry ( 28 ottobre 1938 – 10 aprile 2023) è stata una talentuosa scrittrice britannica di polizieschi famosa tanto per i suoi libri ( 26 milioni di copie in tutto il mondo) quanto per aver partecipato all’omicidio della madre della sua migliore amica, Honora Mary Parker.
Quando commisero l’omicidio le due amiche erano erano adolescenti e ottennero una pena inferiore a quella prevista per gli adulti: cinque anni di carcere, che passarono in prigioni separate. Il tribunale stabilì anche che le due non dovessero più incontrarsi. Se avessero violato l’ordine, sarebbero tornate in prigione e avrebbero scontato l’ergastolo.
Una volta libera, lasciò la Nuova Zelanda e lavorò per un po’ come commessa, assistente di volo, segretaria e assicuratrice. Aderì alla Chiesa mormone e poi si trasferì in un piccolo paese della Scozia. Come fantasticava fin dai tempi della scuola, divenne una scrittrice cambiando il suo nome da Juliet Hulme in Ann Perry.
La fotografia è stata scattata a Gavoi (Nu) durante il Festival della letteratura Isola delle storie.
29. ROBERT BRESSON

Ha scritto Robert Bresson: “Il senso di un film è ciò che parola e gesto presi insieme provocano, qualcosa che passa dietro un volto, qualcosa di indefinibile, di misterioso e magnifico”. Quello che non dice è che per raggiungere questa sublimazione di una professione, quella del regista, occorre fin dall’inizio stravolgere le regole del lessico cinematografico, affrontare l’allestimento delle scene con un rigore assoluto dove l’immagine conta molto di più della parola.. Quello che invece si fa ora è esattamente il contrario, soprattutto in televisione dove la parola ha il sopravvento su tutto tant’è che mentre passa una fiction nemmeno la si vede più. Si ascolta e basta mentre il più delle volte si fanno altre cose. Non a caso la televisione è stata definita la figlia della radio.
28. ORSON WELLES

Un regista è tale solo se lavora, non a caso Orson Welles diceva di se stesso: “Io sono un pendolare. Vado dove c’è del lavoro, come un raccoglitore di frutta. Tutto ciò di cui ho bisogno sono un sorriso d’incoraggiamento ed una proposta, ed arrivo subito, col primo aereo”
27. FASCISMO E NEOFASCISMO

“Fascismo, che assume colori diversi, sistemi e burocrazie di ogni totalitarismo e diversi apparati, significa il disprezzo dell’altro e del diverso, l’intolleranza, il pregiudizio che annienta il nemico, il razzismo raffinato o rozzo che sia, la violenza fisica che inizia sempre in quella verbale e nell’incapacità a dialogare con chi la pensa diversamente”.
Matteo Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
26. ADELANTE ECUADOR
Il 59,14% degli ecuadoriani ha finalmente detto NO all’estrazione del petrolio nel Parco Nazionale Yasuni, Amazzonia ecuadoriana. Un risultato straordinario che premia la costanza di Yasunidos, il movimento ambientalista che ha promosso il referendum per proteggere Yasuni, dichiarato gioiello della biosfera dall’Unesco fin dal lontano 1989 e nelle cui vicinanze vive il popolo Waorani e gli indigeni Tagaeri e Taromenane, gli ultimi due gruppi in isolamento volontario in Ecuador.
Nel 2013, quando alcune centinaia di giovani tra i 15 e i 30 anni hanno dato inizio al movimento Yasunidos, era appena fallita la proposta dell’allora presidente Rafael Correa di ottenere 3,6 miliardi di dollari dalla comunità internazionale in cambio della rinuncia a sfruttare il giacimento dello Yasuní. E, con l’inizio della crisi economica, il leader era determinato a dare il via all’estrazione.
“Adelante Petroleros” è stato girato fra mille difficoltà proprio quell’anno nel cuore del parco Yasuni. Un piccolo film per raccontare che non era solo in gioco un minuscolo pezzo d’Amazzonia ma la difesa stessa della vita e dell’umanità.
Oggi, 22 agosto 2023, dieci anni esatti dopo quell’avventura, nell’apprendere della vittoria di Yasunidos, il mio cuore si riempie di gioia: Adelante Ecuador!
25. OBRAZ

Le lezioni, alla Scuola di Cinema di Milano, duravano dalle 19 alle 22. Tutte le sere. Poi si andava all’Obraz Cinestudio in Largo La Foppa 4, dove Enrico Livraghi (che l’aveva fondato nel 1976) ci aspettava prima di dare il via all’ultima proiezione.
Ho visto così, in quella minuscola sala da 100 posti quasi mai piena, i più grandi film del cinema: americani, inglesi, giapponesi, tedeschi, Bergman e Sjoman, tutto il neorealismo italiano, e i russi ovviamente, da Kulešov a Vertov, da Eizenštein a Pudovkin, a Dovženko… e i francesi? E lì che ho visto non so quante volte Jules et Jim, tutti i film con Jean Gabin…
Anni caldi e indimenticabili quelli dell’Obraz, grazie ad Enrico, al suo amore per il bel cinema, per l’arte, per la cultura.
24. EMMANUEL CARRERE ( lo sceneggiatore e l’editor)

Ho collaborato alla sceneggiatura di una serie televisiva. Questo il soggetto: una notte, in un paese di montagna, tornano dei morti. Non si sa perché proprio quei morti e non altri. Loro stessi non sanno di essere morti. Lo capiscono dallo sguardo spaventato delle persone che amano, che li amavano, accanto alle quali vorrebbero riprendere il loro posto. Non sono zombie, non sono fantasmi, non sono vampiri. Non siamo in un film fantastico, ma nella realtà. Ci si chiede seriamente: che cosa succederebbe se questo evento impossibile capitasse per davvero? Se entrando in cucina trovaste vostra figlia adolescente, morta da tre anni, che si sta preparando una scodella di cereali con la paura di essere sgridata perché è tornata a casa tardi e non ricorda assolutamente nulla di ciò che è accaduto la sera prima, voi come reagireste? Quali parole direste?
E’ un pezzo che non scrivo un vero romanzo, ma so riconoscere un meccanismo narrativo efficace, quando me ne propongono uno, e questo era di gran lunga il più efficace che mi fosse mai stato proposto nella mia carriera di sceneggiatore. Per quattro mesi ho lavorato tutti i giorni, dalla mattina alla sera, insieme al regista Fabrice Gobert, con entusiasmo misto spesso a sbalordimento, davanti alle situazioni che creavamo e ai sentimenti che maneggiavamo. Poi, per quanto mi riguarda, i rapporti con i produttori si sono guastati. Ho quasi vent’anni più di Fabrice, e sopportavo molto meno bene di lui il fatto di essere messo continuamente sotto esame da un manipolo di fighetti con la barba di tre giorni che potevano essere figli miei e prendevano un’aria di sufficienza davanti a quello che avevamo scritto. La tentazione di dire: “Ragazzi, se sapete così bene che cosa bisogna fare, fatevelo da soli” era forte. E vi ho ceduto.
estratto da “Il Regno” – capitolo I
23. I QUAJON (I COGLIONI)
Si dice bene i coglioni, ma loro, io ne conosco più d’uno,
si credono d’essere, non lo sanno che sono dei coglioni, e si sposano, hanno figli, e i figli sono figli di coglioni, che io non dico mica, il babbo è il babbo, tu non abbia da voler bene al tuo babbo, portargli rispetto, però questi figli, non lo so, io, non se n’accorgono? Quando parlano con il loro babbo, non lo vedono, non lo sentono? O sono coglioni anche loro? che lì allora è fatica, fra coglioni –
ecco, sì, no, c’è delle volte che gli scappa detto: il mio babbo è un coglione
ma in un altro senso, nel senso che è buono, che è un galantuomo…
Che questo però è un discorso, come sarebbe allora?
i galantuomini sono dei poveri coglioni?
Intendiamoci, può essere che un coglione sia un galantuomo, può essere che sia buono, ma può essere anche cattivo, ci sono i buoni e i cattivi anche tra i coglioni, coglione vuol mica dire, uno è un coglione, ma può andare vestito bene, portare gli occhiali, può essere, guarda io quello che ti dico, può essere anche intelligente, e nello stesso tempo coglione, che è un caso eccezionale, ma succede, essere coglione è una cosa, può essere tutto un coglione, può essere anche istruito, può essere perfino laureato… certo che se è ignorante, i coglioni ignoranti, quelli sono una disgrazia, non si ragiona, è come parlare al muro, e prepotenti – che uno, io capisco, quando dico che un coglione può essere tutto, uno può rimanere disorientato, gli viene da dire: allora, se uno è un coglione, in cosa si distingue? insomma, cosa vuol dire essere un coglione? cos’è la coglionaggine? Eh, questa è una domanda, è fatica, come si può dire? fammi pensare, non c’è un esempio? Ecco, i coglioni fanno le cose alla rovescia, e tu li vedi che sbagliano, tu lo sai come andrebbero fatte, provi a dirglielo, anche con le buone maniere, ma loro niente, tirano dritto, tu cerchi di dargli una mano, di metterli sulla buona strada, loro ti guardano con un’aria: t’arrabbi: “Sono dei coglioni!” ti sfoghi in piazza, e in piazza c’è anche qualcuno che ti ascolta: “Hai ragione, sono coglioni, però…”
“Però?…”
“Cosa si può fare? Sono tanti, comandano loro”.
RAFFAELLO BALDINI
22. I DIALOGHI

Nel cinema il dialogo realistico non esiste! Se ci si limita a registrare una conversazione qualunque e poi la si ripete sulla scena, è impossibile stare ad ascoltare. Sarebbe ridondante… Il buono scrittore di dialoghi è quello che vi dà l’impressione di un vero discorso. […] Io posso scrivere l’indistinto, ma persino la mancanza di chiarezza deve essere costruita molto attentamente perché il pubblico possa capire che è confusa e non soltanto noiosa.
Joseph L. Mankiewicz
21. UN PERFETTO SILLOGISMO.

Un anarchico è una persona che non vuole padroni. Una persona che non vuole padroni non ha nessun interesse ad essere il padrone di qualcuno. Per un anarchico essere il padrone di qualcuno è un’idea ripugnante. Quindi l’anarchico non può avere nessun interesse a convincere qualcuno con la forza. Tanto meno mediante l’uso delle armi.
20. LA POLITICA

Come si può parlare di pace oggi quando ovunque la politica è corruzione, clientelismo, sfruttamento sistematico delle risorse del territorio ma, soprattutto, una fabbrica di disuguaglianze, povertà e sopraffazione continua? Come si possono rinegoziare i diritti umani, sociali e lavorativi se il profitto è sempre alla base di ogni cosa? Come si può avere fiducia in partiti palesemente obsoleti, guidati da gente che non merita né attenzione né fiducia? No, non sono domande qualunquiste, non sono questioni da bar. Sono invece l’essenza stessa del nostra società, non intesa come singola nazione, ma come umanità.
19. UNA VOLTA
Negli anni in cui frequentavo la scuola del cinema di Milano vivevo in due piccoli locali di una casa di ringhiera che si affacciava sul Naviglio . In quella casa, arredata alla buona, c’erano due cose particolari: una camera oscura con un ingranditore Diamond e una moviola “a tre piatti “ per montare i film in 16 mm. Oggi, in un mondo dove l’analogico fa ormai parte del nostro passato, quell’ingranditore e quella moviola mi mancano immensamente. Non è nostalgia, ma la necessità di tornare a una dimensione più umana del lavoro. Sia in camera oscura che in moviola mi piaceva stare con gli amici. L’era meccanica era decisamente più sociale dell’era elettronica. Inoltre accendere quella Prevost, così si chiamava, sentire il rumore dei rocchetti che trascinavano la pellicola, vedere l’immagine traballante sul piccolo visore, tagliare e incollare la pellicola con la pressa Catozzo non era un lavoro ma un rito che pochi, allora, praticavano. Eravamo come i sacerdoti di un tempio dove, solo agli amici più intimi era concesso l’ingresso. Si montava al buio e questo rendeva l’atmosfera ancora più sacrale. Oggi invece si monta con la luce, davanti a un monitor, fra cellulari che squillano, mail in arrivo e in uscita, sempre connessi ai social. Una barbarie che nuoce alla qualità stessa del lavoro, che destabilizza la concentrazione necessaria alla selezione dei materiali, al loro amalgamarsi con armonia e bellezza. Il montaggio è l’essenza di tutto il lavoro cinematografico. Per praticarlo bene non ci vuole solo padronanza tecnica (quella la si acquisisce in un lampo), occorre invece imporre a se stessi una disciplina di vita perché l’opera alla quale stiamo lavorando non solo è un prototipo ma anche un frammento irripetibile della nostra esistenza. Per questo il montatore cinematografico dovrebbe essere innanzitutto onesto con se stesso e chiedersi, ogni volta che da un ammasso caotico di materiale girato deve scegliere una scena al posto di un’altra, se la sua scelta è dettata dall’esperienza o, soprattutto, da una visione del mondo che lo rende, in quel preciso momento, più vicino a un vero artista che a un tecnico.- Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile. – diceva San Francesco d’Assisi. A volte, a un montatore ogni regista chiede esattamente questo: l’impossibile. E l’impossibile è raggiungibile solo con la disciplina interiore, non con una vita esteriore.
18. MUSEO DEL CINEMA TORINO. TESTO PER IL PREMIO PROLO 2022 A MARKUS IMHOOF

Ho conosciuto Markus nel 1984 quando Ermanno Olmi lo invitò a Bassano del Grappa, nella sede di Ipotesi Cinema. In quell’occasione vidi anche “Das Boot ist voll“ (La barca è piena), con il quale ottenne la nomination all’Oscar come miglior film straniero. Da allora, grazie anche a una straordinaria convergenza sulle tematiche sociali, in una parola “umaniste”, che ci interessavano (ancora oggi) ci siamo frequentati spesso. A quel tempo io non ero ancora un regista ma abitavo a Milano per cui non fu complicato collaborare con lui quando, sempre per Ipotesi Cinema, gli fu commissionato il documentario “Via Scarlatti, 20”. Fu proprio in quei giorni che in me scattò l’idea di andare oltre quello che già facevo, cioè passare alla regia, grazie anche a Markus che mi incoraggiò: fai già la fotografia, e il montaggio, prova… Con “Via Scarlatti, 20”, storia di un condominio di ringhiera e dei suoi inquilini, ho imparato molto da Markus, soprattutto dal suo modo di rapportarsi con gli altri che, anche se conosciuti solo un attimo prima, grazie alla sua contagiosa empatia diventavano subito amici di lunga data. Ci siamo rivisti a Berlino qualche anno fa quando lo intervistai per il documentario “La felicità umana”. Lui aveva appena terminato di girare “Eldorado” e io mi apprestavo a raggiungere Lampedusa per “Nour”. Due progetti che, anche se uno è un documentario e l’altro un film, parlano di migrazione. Ebbene, ci sono momenti in cui le inquadrature sembrano come fondersi dal primo al secondo e viceversa in un unico corpo narrativo e questo, alla fine, credo abbia fatto felice entrambi.
E poi ci sono la costanza e la dignità. Due qualità che in Markus sono ineludibili e che hanno sempre fatto la differenza fra lui e gli altri. La costanza di affrontare tematiche magari poco commerciali ma comunque necessarie e la dignità con la quale difendere la qualità del proprio lavoro nonostante le energie umane non siano infinite, né rinnovabili. A ben vedere, la grande lezione di Markus, oltre al cinema, arriva anche qui. Il nostro lavoro ha sempre avuto a che fare con troppa gente, con troppi interessi, ma non per questo si può tollerare l’intollerabile da parte del mercato per il quale lavoriamo, oppure sprecare il proprio tempo (o talento che dir si voglia) per realizzare storie sbiadite, senza spessore. Basta vedere con quale rigore Markus ha affrontato per esempio un film complicato come “Der Berg” (1990) girato in condizioni quasi proibitive in vetta al Monte Pilatus (2100 metri sopra Lucerna).
Sono stato con lui anche su quel set dove ho visto con i miei occhi come il suo ammirevole desiderio di autenticità scandiva la lavorazione di ogni inquadratura, di ogni singolo dettaglio, perfino di ogni taglio di luce. Uno stile inimitabile e invidiabile: quello che io chiamo “Imhoof’s touch”, perfettamente percepibile in ogni sua opera, fino a “More than honey” (Un mondo in pericolo, 2012), film documentario sulle api di pregevolissima fattura, realizzato in mezzo mondo in cinque anni, come sempre senza compromessi né paura di raccontare scomode verità.
“Fra le quinte c’è sempre un violino che suona…” ha scritto Tennessee Williams per la sua opera teatrale “The Glass Menagerie” (Lo zoo di vetro). Chiudo questa breve nota così, augurandomi che quel violino che non smette mai di suonare sia nelle mani di Markus Imhoof ancora per lungo tempo.
Maurizio Zaccaro
Ottobre, 2022
17. IL POTERE SECONDO PASOLINI

Nulla è più anarchico del potere. Il potere fa praticamente ciò che vuole, e ciò che il potere vuole è completamente arbitrario, o dettatogli da sue necessità di carattere economico che sfuggono alla logica comune. Io detesto soprattutto il potere di oggi. Ognuno odia il potere che subisce, quindi odio con particolare veemenza il potere di questi giorni. E’ un potere che manipola i corpi in un modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio delle culture viventi, reali, precedenti. Sono caduti dei valori, e sono stati sostituiti con altri valori. Sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti da altri modelli di comportamento. Questa sostituzione non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma sono stati imposti dal nuovo potere consumistico, cioè la nostra industria italiana pluri-nazionale e anche quella nazionale degli industrialotti, voleva che gli italiani consumassero in un certo modo, un certo tipo di merce, e per consumarlo dovevano realizzare un nuovo modello umano. Il regime è un regime democratico, però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente ad ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi, invece riesce ad ottenere perfettamente, distruggendo le varie realtà particolari. E questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che noi non ce ne siamo resi conto. E’ avvenuto tutto in questi ultimi anni. E stato una specie di incubo, in cui abbiamo visto attorno a noi l’Italia distruggersi e sparire. Adesso risvegliandoci, forse, da questo incubo, e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c’è più niente da fare.
16. MICRO STAR SYSTEM

La megalomania è una malattia grave ma non va confusa con l’arroganza, la maleducazione e lo snobismo del nostro micro star system. Il problema di questa, per fortuna limitata forma di divismo, è che personaggi così aridi ma noti vengono mitizzati dal pubblico che purtroppo tende a identificarsi in essi nella con i risultati che ognuno di noi può constatare nella vita di tutti i giorni, al punto di desiderare di fuggire via, lontano, magari su un altro pianeta.
15. IL POTERE

Come vedo io IL POTERE? Esattamente così, come il Leviatano di Giobbe:
Puoi tu pescare il Leviatano con l’amo, tener ferma la sua lingua con una corda, ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un uncino? Il suo dorso è a lamine di scudi, saldate con stretto suggello;
l’una con l’altra si toccano, sì che aria fra di esse non passa:
ognuna aderisce alla vicina, sono compatte e non possono separarsi.
Il suo starnuto irradia luce e i suoi occhi sono come le palpebre dell’aurora. Dalla sua bocca partono vampate, sprizzano scintille di fuoco.
Dalle sue narici esce fumo come da caldaia, che bolle sul fuoco.Il suo fiato incendia carboni e dalla bocca gli escono fiamme. Nel suo collo risiede la forza e innanzi a lui corre la paura.
Giobbe 40-41
14. LE BELLE STORIE

Un’immagine di un passato lontano quando, forse perché ero ancora così giovane, pensavo che per raccontare delle belle storie per il cinema bastasse essere onesti con se stessi, originali nelle idee e soprattutto liberi. Qui ero sul set di “Un uomo perbene” (1999) dove, oltre a un grande cast, avevo anche un produttore che oggi rimpiango molto: Giovanni Di Clemente. Nella sua scuderia tanti registi che anno fatto la storia del cinema italiano come Mario Monicelli, Carlo Lizzani, Luigi Magni, Nanny Loy e Giuseppe Ferrara. Vinse il David di donatello come miglior produttore con Speriamo che sia femmina di Mario Monicelli (1986).
13. L’OPERA PRIMA

Marco Bellocchio aveva 25 anni quando realizzò il suo primo film “I pugni in tasca” (1965). della stessa età, più o meno, erano tutti i componenti della troupe. Lou Castel e Paola Pitagora, i protagonisti, erano perfino più giovani. Un manipolo di ragazzi al lavoro con pochi mezzi, pochi soldi ma tante idee e una passione incrollabile. Racconta Marco: “Volevo raccontare una storia molto personale, nella quale potessi riconoscermi. Pensai a un tema che aveva attraversato la mia adolescenza, quell’aspetto infelice della vita di famiglia in cui alcuni, soprattutto mio fratello Paolo, distruggevano ogni possibilità di gioia, obbligandomi a nascondermi. In partenza c’era il protagonista, che vuole restare in famiglia e dominarla eliminando i fratelli ‘imperfetti’ o improduttivi. Poi ho costruito gli altri personaggi, in particolare la madre. Alcune cose venivano dalla mia famiglia, altre erano frutto di fantasia. Ho attinto anche alla mia cultura, un po’ al surrealismo, un po’ alla letteratura, un po’ a quel che era diventata la mia vita. La storia è nata così. Sapevo anche di dover realizzare un film piuttosto intimo, perché i soldi erano pochi. Quindi il grosso del film andava girato all’interno di una casa. Si partì in modo tradizionale, proponendo il progetto a piccoli produttori e distributori, ma nessuno ne voleva sapere. Uno di loro era abbastanza ricco e si fece avanti come coproduttore, ma all’ultimo momento si ritirò. In autunno, Enzo Doria e io capimmo di non avere i soldi. Per le riprese avevamo preventivato venti milioni di lire. Andai da mio fratello: la sceneggiatura non gli piaceva, ma mi lasciò una parte del nostro patrimonio e ottenne un prestito bancario. Così mi ritrovai a essere di fatto produttore del film, con Doria come produttore esecutivo. Non era un grosso budget, anche se oggi si realizzano opere prime con ancor meno.”
12. MILAN , ITALY – 1988
EARLY IMMIGRANTS SERIES
THE PANELS

The photographs of “EARLY IMMIGRANTS SERIES” (1987/1988) by italian film-maker Maurizio Zaccaro (Milan, 1952) brings together the entire, forty-panel work for the first time. This series dramatically depicts the north african migration from the sunny rural villages of Maghreb to the foggy and cold industrial metropolis of Milan. The Early Immigrants Series is unique in its examination of Zaccaro’s white and black vivid images in the context of both the late 1980s and the present.
Aileen Wallace
11. DINO RISI E “IL VENDICATORE” ANTON CECHOV
A volte su you tube si trovano dei video sorprendenti come questo in cui Dino Risi parla del suo amore per Anton Cechov. “Mi insegnò che gli eroi possono essere anche i vicini di casa” dice parlando dei suoi straordinari racconti fra i quali “Il vendicatore” .
“E’ la storia di un uomo che sorprende la moglie a letto con l’amante”, dice Risi, “allora decide di vendicarsi e di uccidere la moglie, poi l’amante, poi se stesso. E va in un’armeria per comprare una pistola. L’armaiolo dei magazzini Smuks gli mostra una quantità di pistole, magnificandone le caratteristiche. Esibisce una Smith & Wesson, “l’ultima parola per la scienza delle armi da fuoco. A triplice funzionamento, con estrattore, calibro medio. Richiamo, monsieur, la vostra attenzione sulla purezza delle finiture. E’ il sistema più in voga. Ogni giorno ne vendiamo una decina per i malfattori, i lupi, gli amanti. Colpisce a grande distanza e passa da parte a parte moglie e amante”. Perfetta. Ma costosa. Allora gliene mostra una più economica. “Questa rivotella sistema Lefoche costa invece solo diciotto rubli, ma… il sistema è già invecchiato, monsieur. Lo comprano soltanto gli intellettuali proletari e le psicopatiche”. Sconsigliabile anche la rivoltella di Tula: “Spari contro tua moglie e ti colpisci in una scapola.” Così, tra una proposta e l’altra, il cornuto rimugina, immagina il proprio e l’altrui funerale, si interroga se sia più straziante la morte o il senso di colpa. E cambia piani: ucciderà solo lei! Poi no, solo lui, solo l’amante, quindi se stesso, ma solo dopo essere andato al funerale dell’amante per spiare la moglie. Alla fine cambia ancora idea: non potrà uccidersi, sarebbe come affidare alla moglie la propria memoria, e lei, falsa e impudente, avrebbe certamente fatto di lui un ritrattino velenoso… Nasce anche una disquisizione con l’armaiolo circa il sistema giuridico russo. “Se dipendesse dal governo, tutti i mariti verrebbero deportati a Sachalin per lasciar campo libero agli amanti. Che tempi!”. Alla fine l’uomo ci ripensa: non si ammazzerà, non ammazzerà. Non ne ha il coraggio, la forza, la voglia. Così esce dal negozio e torna a casa. Con un retino per le quaglie da otto rubli.
10. LIBERTA’ D’ESPRESSIONE

Come spesso amava dire Ermanno Olmi : “Un regista dovrebbe sempre essere capace di opporsi ad ogni violazione della libertà d’espressione, non solo contro il proprio lavoro, ma verso qualsiasi forma d’arte. Sarà questa qualità a trasformarlo in un vero Autore” e poi, se le cose gireranno per il verso giusto, aggiungo io, in un maestro del suo tempo.
9. TARANTINO /HERZOG

Quentin Tarantino , che non ha mai frequentato una scuola di cinema, ha sempre dichiarato: “Non ho mai frequentato scuole di cinema anche perché non me le potevo permettere, però lavorando in una videoteca ho fatto ricche scorpacciate di cinema. Ho visto persone spendere molti soldi in corsi di cinema e io pensavo: “prendi quei soldi e facci un film!” Se vuoi imparare da autodidatta inizia a studiare ciò che hanno fatto gli altri”
Se non siete convinti di quello che dice Tarantino, ascoltate almeno l’appello rivolto ai giovani aspiranti registi da Werner Herzog, che non è certo l’ultimo arrivato:“Non sprecate tempo nelle scuole di cinema, non vi insegnano nulla! Per fare questo mestiere bisogna sentirlo. Ci vogliono intuito, coraggio e follia . Insomma, quattro mesi a piedi per il mondo vi insegneranno molto di più. Leggete molto, leggere vi insegna a vedere il mondo da più punti di vista. E crescete dei figli, chi ha un bambino è più ancorato alla realtà. Oggi non ci sono più scuse di budget. Né per i produttori né per i registi. Ma si deve avere il coraggio di trovare nuovi canali di diffusione, come internet. Bisogna solo restare fedeli alla propria visione e avere il coraggio di seguirla. I mezzi tecnici non fanno differenza, ma l’evoluzione è interessante. Sono curioso di vedere cosa riuscirà a produrre la vostra generazione. Non avete più scuse, è tempo di tirar su le maniche e fare.”
8. FILM SCHOOLS

Pagare cifre esorbitanti per iscriversi ad una scuola di cinema è come dire che solo i benestanti possono ambire a fare i registi. Ma si sa, la strada dei figli di papà è tutta in discesa. La vera scuola di cinema è la bottega dell’artigiano (cinematografico), quella che non costa nulla se non tempo, fatica e sudore.
7. LA PIUMA

Nello scrivere e girare un film si deve avere un’unica certezza: ogni decisione presa non potrà mai piacere a tutti. Ed è una certezza che rende un regista leggero e libero come la piuma di Forrest Gump. Quello che conta, a quel punto, è solo la qualità del suo lavoro.
6. ER CINEMA

La scelta di un giovane dipende dalla sua inclinazione, ma anche dalla fortuna di incontrare un grande maestro, diceva Rita Levi-Montalcini.
Forse è meglio chiarire cosa vuol dire fare cinema in Italia se non sei romano, se non frequenti le terrazze che contano nella capitale, se non sei il rampollo di una famiglia del cinema romano, se non te ne frega niente di “farti vedere dalle parti di Piazza Mazzini”, se non vai alle prime “esclusive” di colleghi, e via dicendo. Aggiungiamo anche che per fare “quel cinema”, uno se lo deve permettere, nel senso che non deve avere problemi finanziari per poter bighellonare in giro per “gli ambienti che contano” raccontando qualche pitch “geniale”, scrivendo una volta un soggetto “assolutamente gajardo”, un’altra una sceneggiatura che “è la fine del mondo”, finchè, alleluia, non si giunge “in odore di film”. Chi ha scritto che la mia vita professionale è addirittura “un caso” è stato fin troppo gentile. Negli anni ne ho sentite di peggio come “Il talento sprecato del cinema italiano” etc. La verità però sta altrove. Dei sette film citati per la metà nemmeno sono stato pagato per intero nonostante i contratti parlassero chiaro ” Vuoi i sordi? Embè che ce vò? Famme causa, famme!” mi son perfino sentito dire tanti anni fa da un produttore. Un altro, a saldo del mio compenso, ha tirato fuori le chiavi della sua moto “Prenditela e sparisci!” Più recentemente una produttrice s’è messa a piangere perché purtroppo non poteva onorare tutto il mio contratto quando poi gira in lungo e in largo con l’autista. Queste ed altre storie ho deciso di scriverle in modo che tutti sappiano cosa vuol dire non essere romano, e per giunta nemmeno un lacchè. Il titolo? LA SCELTA. Perché alla fine questo è quello che davvero ho fatto: decidere che l’amicizia, ma soprattutto la lealtà, sono più importanti di qualsiasi intrallazzo con il potere.
5. RADIO REBELDE

Radio Rebelde era l’emittente di un collettivo giovanile, come si definivano tanto tempo fa, all’estremo sud di Milano. Funzionava grazie a un pesantissimo trasmettitore SCR-528 acquistato al mercatino americano di Livorno. Originariamente in dotazione ai carri armati Sherman, il trasmettitore venne trasformato grazie all’inserimento di un quarzo saldato all’amplificatore di potenza per modulare la frequenza sugli 88 mhz. L’antenna, attaccata con lo scotch per imballaggio al manico di una scopa, sporgeva dalla finestrella del solaio “occupato” di un vetusto fabbricato sul naviglio pavese, in via Chiesa Rossa 89 dove c’era, se così si poteva definire, la redazione.
In poco tempo Radio Rebelde divenne il megafono delle tensioni sociali nelle quali vivevano i ragazzi del quartiere perché oltre, con quell’antenna, non arrivava il segnale. Purtroppo, nel panorama delle radio libere dell’epoca, fu una meteora ma quello che la distingueva era la gioia che scaturiva dall’improvvisazione più audace “…praticata da giovani estranei alla cultura alta, che sono arrivati alla parola attraverso la musica, il dazëbào, la festa, il concerto…” come disse Umberto Eco.
4. IN CALABRIA
Nel 1993, Vittorio De Seta (1923-2011) , dopo una decina d’anni di forzata inattività, realizzò e produsse (prevalentemente con il proprio denaro) “IN CALABRIA” . Alla conferenza stampa di presentazione del film, Vittorio De Seta disse: “… Bisogna raccontare storie semplici e fare un film povero, con gente presa dalla vita …” La struggente fotografia di “In Calabria” è del bravo Gianni Secchi. La colonna sonora è eseguita dalla Corale Greco-Albanese di Lungro (CS) diretta dal prof. Giovanbattista Rennis, grande musicista
_
3. LA PROFEZIA DI PIER PAOLO PASOLINI

Alì dagli Occhi Azzurri, uno dei tanti figli di figli, scenderà da Algeri, su navi a vela e a remi. Saranno con lui migliaia di uomini coi corpicini e gli occhi di poveri cani dei padri sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sé i bambini, e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua. Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali. Sbarcheranno a Crotone o a Palmi a milioni, vestiti di stracci asiatici e di camicie americane
Subito i Calabresi diranno, come da malandrini a malandrini: ” Ecco i vecchi fratelli, coi figli e il pane e formaggio!” Da Crotone o Palmi saliranno a Napoli, e da lì a Barcellona, a Salonicco e a Marsiglia, nelle Città della Malavita.
Anime e angeli, topi e pidocchi, col germe della Storia Antica voleranno davanti alle willaye. Essi sempre umili, essi sempre deboli, essi sempre timidi, essi sempre infimi , essi sempre colpevoli, essi sempre sudditi, ssi sempre piccoli,, essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare, essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo, essi che si costruirono leggi fuori dalla legge, essi che si adattarono a un mondo sotto il mondo. essi che credettero in un Dio servo di Dio, essi che cantavano ai massacri dei re, essi che ballavano alle guerre borghesi, essi che pregavano alle lotte operaie…
2. QUELLA SCUOLA

Larga, deserta, con grandi fabbricati uno in fila all’altro, la via dove c’era la mia casa evocava Nowa Huta, quartiere alla periferia di Cracovia raccontato più volte da Andrej Wajda. Crescere e studiare in un posto così, con un indice di disagio sociale fra i più alti della città, non è stato certo come frequentare Eton. La scuola era un quotidiano campo di battaglia, il resto della formazione avveniva nei cortili, nei campetti dove si giocava al pallone, all’oratorio o sul marciapiede. Del tutto giustificata quindi la nota finale della preside in cui, nonostante l’unico nove fra nugoli di raccapriccianti quattro fosse quello in educazione artistica, consigliava per il mio futuro un istituto professionale di Stato. Cioè un tornio attorno al quale imparare un mestiere, e basta.
Ho una vaga memoria di quel tempo, come se tutto fosse stato cancellato da una mano di pudore. Non ricordo i nomi, i volti dei compagni, non ricordo i professori, ma quella scuola sì.
Stava al centro di una piazza ovale: un fortino circondato da un anello d’asfalto con un traffico inesistente. C’erano dei tigli imponenti e profumati dentro il muro perimetrale che una sera avevo agilmente saltato assieme ad altri complici. Vedere corridoi e aule in quella polverosa penombra aveva un fascino un po’ horror. Eravamo entrati nell’ufficio della preside e lì, dopo aver sbirciato le carte sulla scrivania, mi ero seduto al suo posto: Vi boccio tutti quanti così imparate! avevo scandito imitandone la voce garrula. Intanto gli altri avevano cominciato a buttare all’aria tutto. Il motivo di quella scellerata incursione? Posso supporre che era solo un gesto compiuto senza alcuna intenzione di dimostrare chissà cosa se non il fatto che la scuola, quella scuola, non ci piaceva affatto. Così come non ci piaceva il posto in cui stava, lontanissimo dal cuore di una città che non amava chi non riusciva a stare al passo con una vita da rotocalco, tutta cambiali e pie illusioni.
1. LIETTA TORNABUONI

In un gelo tagliente l’unico rifugio possibile è l’affollato bar del Berlinale Palast . Tenendo le mani strette alla tazza di tè Lietta mi parla dell’ Articolo 2 appena visto alla proiezione per la stampa. Sentire paragonare il mio lavoro a quello di Ken Loach mi fa venire un brivido lungo la schiena. Il giorno dopo quelle stesse parole le trovo scritte su La Stampa ed è un’emozione impagabile. Stare vicino a Lietta, parlare anche un solo istante con lei era sempre fonte di grande gioia, occasione di arricchimento personale per la raffinatezza, la puntualità delle sue osservazioni, la profondità del suo pensiero. Non a caso, credo che pochi lo sappiano, discendeva da un’antica famiglia toscana che ha fatto la storia del Rinascimento Italiano, quella dei Tornabuoni, per la precisione da Lucrezia, madre di Lorenzo il Magnifico.
0. IPOTESI CINEMA

“Faccio il conto degli anni: dall’estate del 1982 a oggi sono esattamente 30. Trent’ anni di Ipotesi Cinema. E in tutti questo tempo non ho mai trascurato di mantenere vivo il dialogo con i ragazzi e le ragazze man mano si affacciavano le nuove generazioni. Adesso la mia età, con addosso un bel carico di vita vissuta, mi fa capire che devo regolarmi misurando le mie forze. E nel voltarmi indietro a guardare quel che tutti insieme abbiamo fatto, posso considerare Ipotesi Cinema una straordinaria avventura e un buon risultato. Molti giovani hanno trovato la loro strada. Quando mi chiedono qual è, dei miei, il mio film preferito, rispondo sempre che non lo so. Ma se qualcuno mi domanda cosa salverei della mia e sperienza di cinema, non esito a dichiarare che è stata Ipotesi Cinema.“
Ermanno Olmi – Asiago, agosto 2012