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AUGUSTO TRETTI

tretti

Augusto Tretti, regista, racconta se stesso e i suoi film a una studentessa che ha l’ardire di fare una tesi su di lui. La scoperta della passione per il cinema, la benedizione di Filippo Sacchi, l’incontro con Fellini, ma soprattutto gli ostacoli del fare cinema nella totale autarchia.

Fonte: Film-Tv

«Lo si può, volendo, liquidare con due definizioni: goliardico, naïf. Alcuni lo fanno. Ma sono definizioni sbagliate. I gogliardi e i naïfs non hanno rigore, si fermano alle prime osterie, si divertono, riempiono le domeniche. Tretti non si diverte, benché sia difficile non divertirsi anche, vedendo i suoi film»
Ennio Flaiano

1984, Maurizio Zaccaro incontra Augusto Tretti, maestro misconosciuto del cinema italiano, nella sua villa nei pressi del Lago di Garda. Con loro una studentessa universitaria che sta scrivendo la tesi proprio su Tretti e che accompagna il regista ormai non più giovanissimo in lunghe passeggiate nella campagna e in visite ai luoghi in cui sono conservati i cimeli dei suoi film. Tretti parla in modo schietto, spesso tagliente e spassoso, dei suoi film, di come sia arrivato per caso al cinema e delle innumerevoli traversie produttive che ha dovuto affrontare per portare a compimento La legge della tromba e Il potere, le sue opere più famose.


33° TFF (Torino Film Festival)

Nota di Regia

Ho girato questo piccolo film nel 1984, per Ipotesi Cinema e Rai Uno. “Augusto Tretti, un ritratto” è dunque uno dei miei primissimi lavori. Sono trascorsi più di trent’anni dalla sua realizzazione eppure l’ultima volta che sono passato da Colà (Lazise del Garda) poco prima della sua scomparsa ho provato le stesse sensazioni di allora. Varcare il portone della sua casa era come salire sulla macchina del tempo, talmente tutto era immutato. Gli oggetti, quelli che lui chiama con affetto “cimeli e ricordi”, dei pochi film che ha diretto nella sua carriera erano ancora lì come allora, così come era rimasto intatto, nel corso del tempo, l’arredo della villa. Nemmeno lui sembrava essere invecchiato, come se un  efficace elisir gli avesse donato l’eterna giovinezza. Perché Augusto Tretti sostanzialmente era questo: un grande sognatore, come tutti i bambini. Intelligente, ironico, fantasioso, autore di cinema troppo scomodo e pungente, Augusto era una miniera d’idee. Stare con lui (come si può vedere in questo suo ritratto) voleva dire immergersi totalmente in un mondo fatto di racconti affascinanti e unici, di aneddoti esilaranti, di spunti e visioni che avrebbero potuto sfociare in film sorprendenti, e tanto altro ancora. Un mondo che in molti hanno poi liquidato come “goliardico” e “naif” . Eppure, per chi lo conosceva bene, di goliardico e naif Augusto non aveva proprio nulla. Da vero artigiano del cinema sapeva fare un po’ tutto, dall’operatore al montatore, dall’elettricista al costumista, allo scenografo e perfino l’attore. Non a caso, a Venezia nel 1972, per “Il potere” disse in conferenza stampa:  “Ritengo che IL POTERE sia un film d’autore al cento per cento. Ho fatto tutto io, perfino il verso della gallina”. Purtroppo oggi pochi si ricordano di lui, dei suoi clamorosi film. Peccato. Ma Augusto è stato non solo un amico ma un “inventore” al quale ispirarsi per non morire di ovvietà, di banalità e soprattutto di omologazione. Non a caso Federico Fellini disse di lui: “Do un consiglio a tutti i miei amici produttori: acchiappate Tretti, fategli firmare subito un contratto, e lasciategli girare tutto quello che gli passa per la testa. Soprattutto non tentate di fargli riacquistare la ragione; Tretti è il matto di cui ha bisogno il cinema italiano”. Oggi, di matti nel cinema italiano non ce ne sono più. Sono stati fatti sparire tutti, uno dopo l’altro. Fermati, radiati, dimenticati. E il nostro cinema soffre della loro assenza. Lunga vita dunque a LA LEGGE DELLA TROMBA, a IL POTERE, a ALCOOL: i tre indimenticabili, graffianti capolavori di Augusto Tretti, “anarchico di linea veronese”, come lui stesso amava definirsi.

Maurizio Zaccaro

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Foto di Maurizio Zaccaro © 1978

«Do un consiglio a tutti i miei amici produttori: acchiappate Tretti, fategli firmare subito un contratto, e lasciategli girare tutto quello che gli passa per la testa. Soprattutto non tentate di fargli riacquistare la ragione; Tretti è il matto di cui ha bisogno il cinema italiano». Parola di Federico Fellini, uno dei grandi maestri del cinema italiano che salutò con ammirazione l’esordio, assolutamente autarchico (prima di Moretti…), di Augusto Tretti, il più originale e stravagante regista italiano. La sua carriera, racchiusa in un pugno di film (3 e ½: La legge della tromba, Il potere, il film su commissione Alcool e il cortometraggio per la Rai Mediatorie carrozze), si dispiega in un lasso di tempo molto ampio, 25 anni (e anche oltre, se consideriamo i progetti non realizzati). Tutto ha inizio nel 1960, quando il giovane regista, con la copia del suo primo film in mano, La legge della tromba, cala a Roma e organizza una proiezione per la critica. Riceve giudizi per una volta unanimi, ovviamente negativi, ma per sua fortuna Moravia lo invita a far vedere il film ai registi, non ai critici. Grazie a questa intuizione dello scrittore esplode a Roma il caso Tretti, un marziano sceso dal Veneto (Tretti è nato a Verona nel 1924) nel mondo dei cinematografari e subito adottato da Fellini, Flaiano, Antonioni, Tonino Guerra e molti altri, che si prodigano per consentirgli di girare un film con una struttura produttiva alle spalle. La Titanus addirittura, grazie a Goffredo Lombardo, che dopo aver accettato di distribuire La legge della tromba («Questo film lo piglio io, lo mando a Milano e se non vogliono compro il locale»), fa firmare al regista un contratto per un nuovo film. Ha inizio da questo momento una delle più lunghe avventure produttive del cinema italiano, perché il secondo film di Tretti, Il potere, vedrà la luce solo dieci anni dopo, a causa del fallimento della Titanus e ad altre vicissitudini. Inizio e fine di una carriera, ispirata da una passione sfrenata per il cinema e da un talento che solo i geni del cinema italiano hanno saputo veramente apprezzare. L’invito alla visione è questa volta rivolto proprio ai critici e agli storici, affinché il nome di Tretti possa trovare il posto che merita nella storia del cinema italiano.

Filmografia:

La legge della tromba (1960) Regia: Augusto Tretti; soggetto e sceneggiatura: A. Tretti; musica: Angelo Paccagnini, Eugenia Manzoni Tretti; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Maria Boto, A. Paccagnini, E. Manzoni Tretti; origine: Italia; produzione: A. Tretti; durata: 75′ Un gruppo di amici tentano di compiere una rapina, ma vengono arrestati. Amnistiati, ottengono un poso di lavoro in una fabbrica di trombe… «La legge della tromba è il film più strabiliante che abbia mai visto, il più fuori dal comune» (Vancini); «Vengono in mente le fantasie di Charlot, i films di Tati, intere sequenze sono rette da un miracoloso equilibrio di ironia e di lirismo» (Zurlini); «In questo giovane e nel suo film c’è estro da vendere» (Antonioni); «È una piccola lezione di cui ammiro il candore e l’astuzia» (Flaiano).

Il potere (1971) Regia: Augusto Tretti; soggetto e sceneggiatura: A. Tretti; scenografia: Giuseppe Raineri; musica: Eugenia Manzoni Tretti; montaggio: Giancarlo Raineri; interpreti: Paola Tosi, Massimo Campostrini, Ferruccio Maliga, Giovanni Moretto, Diego Peres, A. Tretti; origine: Italia; produzione: Aquarius Audiovisual; durata: 83′ «Il potere è una rappresentazione didattica e grottesca della tirannia attraverso i secoli, dall’età della pietra a oggi: rivisita l’antica Roma, gli stermini perpetrati a danno dei pellerossa, il fascismo e gli anni che prelusero alla dittatura mussoliniana. Non c’è trama e non è il caso di dolersene. Sono ricchi a tener banco e a menar randellate sulla povera gente e sui suoi difensori […]. Il potere è un’opera di poesia, che dell’assunto politico fa la base per la realizzazione di una straordinaria “commedia dell’arte” cinematografica, la prima, forse, commedia dell’arte che possa ricordarsi nella storia del cinema italiano» (Bendazzi).

Il potere
(Ennio Flaiano / pubblicata su «L’Espresso» il 14 novembre 1971)
Negli scaffaloni della cinematografia italiana, Augusto Tretti, coi suoi due film, «La legge della tromba» e «Il potere» (due film in dieci anni, e il primo mai visto, se non da pochi amici), è difficile da collocare. Bisogna rinunciarvi. Resterà un fenomeno isolato o, peggio, da isolare. Forse avrà, in questo paese di manieristi, degli imitatori, ma sicuramente goffi o soltanto furbi. Il dono di Tretti è una semplicità che non si copia, presuppone la superba innocenza dell’eremita. E’ una semplicità che riporta l’immagine fotografica alle composizioni di Nadar, di Daguerre, e anche al non-realismo, cioè agli spazi e al nitore dell’affresco. Eppure Tretti non è un esteta, né chiede all’immagine se non di sostenere un suo elementare discorso. Lo si può, volendo, liquidare con due definizioni: goliardico, naif. Alcuni lo fanno. Ma sono definizioni sbagliate. I goliardi e i naifs non hanno rigore, si fermano alle prime osterie, si divertono, riempiono le domeniche. Tretti non si diverte, benché sia difficile non divertirsi anche, vedendo i suoi films. Egli ha fatto sua la lezione di Brecht, ma la svolge senza grandi apparati e con estro vernacolo. Il suo discorso è «papale papale», come si diceva una volta a Roma, cioè franco, diretto. La sua comicità è veneta, se si pensa al Ruzzante e ai suoi attori presi dalla strada (ma, intendiamoci, proprio strada, di paese e di campagna), e dalle osterie. E’ fantastica, iperletteraria, se si pensa ad Alfred Jarry. Altri nomi non suggerisce. Bisogna accettarlo e tener presente che niente in lui è ingenuo o copiato, ma viene da una cultura ben digerita, strizzata alla radice, e da un naturale apparentemente benevolo. Non lascia niente al caso. La ricerca della bellezza, dell’effetto, che rovina tanti nuovi autori e li spinge continuamente a cercare salvezza nel kitsch del giorno, (nel criptokitsch), cioè nelle immagini dettate dalla moda, dal vento che tira, dalle esperienze riuscite degli altri, dalla loro presunzione di registi che «vedono bene», è in Tretti una ricerca della cosa essenziale, adrammatica, messa in vitro e osservata alla macchina da presa, che diventa una specie di microscopio. Si potrebbe citare anche Hogarth per certi effetti di pomposità caricaturale, ma è meglio non farlo. I suoi personaggi non sono mai burattini, esistono nel momento in cui si realizzano e ritornano sotto altre vesti al momento opportuno. Per ritrovare certe immagini grottesche del fascismo, la sua complessa stupidità, credo che potrebbe soccorrerci soltanto Mino Maccari.
Tretti fa un cinema didascalico da sillabario, vuol dire una sua idea della società, e perché non gli piace. Ci riesce per una sua forza derisoria che si avvale d’impassibilità, di non-compiacimento. I volti esemplari, il modo di muoversi, la solitudine dei suoi attori (folle di otto persone, eserciti di dodici soldati), riportano il cinema a un eden dimenticato; a grandi spazi fatti di paesi, monti e campagne della memoria. Quando vuol colpire lo fa con la rapidità dell’evidenza. Si serve di un discorso volutamente dimesso perché ha le idee chiare. E’ anche difficile collocarlo nello scaffale di sinistra. Egli si ritiene anarchico, di linea veronese, cioè un po’ folle. Le sue bombe scoppiano con un enorme rispetto della vita umana, ma non a vuoto.
Alla mostra di Venezia si è presentato, contro il parere dei suoi molti amici e sostenitori, perché da dieci anni c’era un pubblico, ha bisogno del controllo di un pubblico. Risultato: il successo del «Potere» è stato imprevisto e chiaro: applausi ai due spettacoli. All’Arena, due minuti precisi di applausi. Tretti li ha cronometrati. Il giudizio che pesava su di lui, di non tener conto delle leggi dello spettacolo, di non essere di nessuna corrente, è caduto; anche (e forse soprattutto) se qualche critico lo ha trattato come un caso divertente, con l’affetto che si riserva agli innocui.
Per fare «Il potere», Tretti ha impiegato sette anni, di cui sei senza far niente, solo pensare al suo film, essendo venuto a mancare di colpo il produttore. Ha vissuto per sei anni con le bobine del suo film incompiuto sotto il letto. Infine ha trovato due produttori che gli hanno permesso di terminarlo. Ma un film finito non è necessariamente un film vivo: ha bisogno di essere «distribuito», visto, discusso. Penso che se questo film (e me lo auguro) arriverà nelle sale comuni – e non sarà quindi costretto a fare il giro dei festival, come numero di attrazione naif – impressionerà il pubblico per le sue qualità di feroce e austera comicità. •
Ennio Flaiano

Alcool (1979) Regia: Augusto Tretti; soggetto e sceneggiatura: A. Tretti; musica: Eugenia Manzoni Tretti; interpreti: Mario Graziosi e attori non professionisti; origine: Italia; produzione: A. Tretti per l’Amministrazione Provinciale di Milano; durata: 100′ «L’idea di un film sull’alcoolismo nacque da un mio colloquio col professor Dario De Martis [Direttore dell’Istituto Psichiatrico di Pavia]. […] Scartai subito l’idea del film-inchiesta perché troppo facile e insoddisfacente dal punto di vista artistico, sforzandomi di filtrare i vari aspetti del problema in un film d’autore. Ho cercato di affrontare il tema con la maggior chiarezza e semplicità possibile, senza nascondermi dietro l’intellettualismo a ogni costo. […] Trattandosi di un film culturale, mi sono sforzato di conciliare la mia natura satirica con gli aspetti più apertamente didascalici del tema» (Tretti). «È un film, che si impernia sul personaggio di un fattorino che a furia di vedersi offrire il classico “bianchino” da ogni cliente, finisce per diventare un alcolizzato impenitente, è spesso francamente spassoso, soprattutto quando il regista parte dal “discorso sull’alcool” per disegnare quadri satirici di incredibile efficacia» (Crespi).

Mediatori e carrozze (1985)
Regia: Augusto Tretti; soggetto e sceneggiatura: A. Tretti; fotografia: Maurizio Zaccaro; montaggio: M. Zaccaro; produzione: Società Editoriale G.B. Verci di Bassano per Rai 1; durata: 18′
Un insegnante di provincia si rivolge a un agente immobiliare per acquistare una casa, ma a causa al boom edilizio molti si sono improvvisati mediatori e non sempre i consigli sono quelli giusti… Il film è stato realizzato per la serie televisiva Di paesi e città.

Augusto Tretti

Verona, 19 giugno 1924 – Verona, 7 giugno 2013

mauriziozaccaro Mostra tutti

Regista e sceneggiatore italiano.
Italian film director and screenplayer.